mercoledì 8 novembre 2017

Quando credi di essere penultimo - Daniela Pia

L’altra sera, domenica 5 novembre, ho acceso la TV e  mi si è presentato, inatteso, il volto di un giornalista locale Antonello Lai, che dalle antenne di TCS, mandava in onda un servizio sul quartiere popolare di Is Mirrionis fatto di interviste ai rivenditori di estemporanee bancarelle; cresciute come funghi nella piazza Is Maglias della città di Cagliari.
Di fronte si intravedeva la piazza Medaglia Miracolosa restituita al quartiere, di fresco restaurata, con le fioriere che attendono solo di competere in bellezza con le Jacarande di maggio, luminosa; luogo nel quale respirare tutti assieme adulti, bambini e anziani.
Un grido di diffondeva dalle labbra dei signori e dalle signore intervistati i quali la rivendicavano nuovamente per loro e per il commercio -che ora praticano di fronte a venti metri soltanto-. Ponevano delle condizioni i bancarellari, scatenando in modo plateale una guerriglia con i “Negri” ai quali attribuiscono una discreta fetta del loro malessere.
Premetto che amo molto questo quartiere popolare. Gli ho dedicato poesie piene di sorrisi, ne apprezzo la sincerità e la capacità kitch di arrangiarsi che si è fatta arte.
Non ne ignoro le debolezze, le contraddizioni, l’illegalità passata e presente e le difficoltà di una convivenza civile.
Ne conosco la storia, fucina di un riscatto sociale che è partito dalla dalla scuola negli anni ’70. 
Lo tengo vicino al mio sentire, luogo in cui sparsero i loro geni i fenici, lasciandoci in eredità la meraviglia della più grande necropoli del Mediterraneo -Tuvixeddu- come “memento” del fatto che giungiamo in questa vita senza avere nulla di materiale, ci accapigliamo durante per avere qualcosa, ce ne andiamo senza poterci portare appresso niente.
Eppure…eppure ieri sera ho sentito una fitta nel costato a sentire le voci di tanti “penultimi”, i bancarellisti,  prendersela con i ” NEGRI” gli ultimi.
Lo spaccio a Is Mirrionis lo attribuivano alla presenza dei “Negri”, la loro difficile condizione economica alla presenza dei “Negri” .
Quello “spreco” di piazza Medaglia Miracolosa, medaglia che dovrebbero appuntarsi al petto come dono a tutto il quartiere, alla sua riqualificazione, alla bellezza di cui farsi custodi, lo hanno fatto diventare motivo di lagnanza con l’amministrazione comunale. Tutto era brutto, tutto era cattivo, ma i più cattivi di tutti erano i “Negri”.
Un magone mi ha preso.
Ho pensato che la scuola, tutte le scuole che operano nel quartiere, hanno un compito immane, una responsabilità grave, che debbono pretendere di condividere con tutte le agenzie educative presenti nel territorio. È urgente promuovere e diffondere una cultura del rispetto degli esseri umani.
La sofferenza, l’abbandono, la dimenticanza, creano dolore ed emarginazione e non fanno differenza fra il colore della pelle o la provenienza geografica.
Questo farsi “Capponi di Renzo”  beccandosi a sangue fra penultimi e ultimi, agevola solo i Primi senza che vi sia consapevolezza in tal senso.
Eppure dovremo saperlo bene noi sardi, che qualcosa di africano nei geni ce lo portiamo dentro da secoli. Nel caso lo avessimo dimenticato ce lo ricorda anche  una bellissima poesia del premio Nobel per la letteratura, Grazia Deledda quando dice che :

“Noi siamo spagnoli, africani, fenici, cartaginesi,
romani, arabi, pisani, bizantini, piemontesi.

Siamo le ginestre d’oro giallo che spiovono
sui sentieri rocciosi come grandi lampade accese.

Siamo la solitudine selvaggia, il silenzio immenso e profondo,
lo splendore del cielo, il bianco fiore del cisto.

Siamo il regno ininterrotto del lentisco,
delle onde che ruscellano i graniti antichi,
della rosa canina,
del vento, dell’immensità del mare.

Siamo una terra antica di lunghi silenzi,
di orizzonti ampi e puri, di piante fosche,
di montagne bruciate dal sole e dalla vendetta.

Noi siamo sardi.”

Per essere consapevoli di ciò che siamo e che siamo stati c’è però bisogno di sostenere l’istruzione. Bisogna andare a scuola con la voglia di sapere, di conoscere chi siamo oggi è perché, oltre la nostra bancarella di rape e bandierine usate con impressi i quattro mori scoloriti. È necessario andarci per recuperare il senso di appartenenza all’unico genere cui ha senso appartenere, quello umano
o rischiamo di continuare a raccontarci all’etere come caporali anziché uomini
E la gara di questa misera “audience”  la vinceranno sempre i Primi.

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