venerdì 2 marzo 2018

dicono di maestra Lavinia


Dalla parte di una maestra antifascista e incazzata


Troppo onesti,
troppo davvero buoni,
questi ragazzi che hanno disimparato
a contrapporsi.
(Fabio Pusterla, Per una insegnante cattiva, 2014)

Senza manganelli, quando volete. Così Lavinia Flavia Cassaro, antifascista, maestra precaria e incazzata, a Torino inveisce ripetutamente contro il cordone di sicurezza schierato a protezione dei fascisti di Casapound per impedire che il loro comizio venga disturbato dalle contestazioni. Non conosciamo Lavinia Flavia Cassaro di persona, ma ri-conosciamo la sua incontenibile rabbia di fronte ad uno schieramento di poliziotti in antisommossa che protegge i fascisti, ammessi a partecipare alle elezioni politiche in un paese, questo, la cui Costituzione vieta espressamente la ricostituzione di organizzazioni politiche di matrice fascista. E invece i fascisti non solo vengono ammessi alle elezioni, ma i loro comizi vengono protetti e garantiti dalle forze dell’ordine, su e giù per lo stivale. Ri-conosciamo la rabbia di una precaria, trapiantata al nord con uno stipendio tra i più bassi d’Europa e la rabbia, troppo spesso repressa, di un corpo docente contro cui sono schierate frotte di pennivendoli in una gara al massacro, alla diffamazione e alla delegittimazione della  scuola statale nel momento stesso in cui questa viene trasformata, anzi mostrificata, in una palestra di addestramento al lavoro precario, se non schiavile, mentre, parallelamente, i percorsi per accedere alla professione docente e diventare di ruolo vengono resi sempre più incerti e costosi. 
Prevedibile che le parole di Lavinia Flavia Cassaro  sarebbero ritornate indietro come un boomerang in questa italietta piccola piccola, a caccia di capri espiatori e sicurezze, mentre sprofonda nel baratro di una polarizzazione della ricchezza che miete sempre più vittime tra la piccola borghesia declassata. Un’italietta che ha costruito l’immaginario scolastico sulla maestrina con la piuma rossa del libro Cuore e che, complice la femminilizzazione della professione docente, confonde un lavoro intellettuale con un lavoro di cura. Lavinia è una cattiva maestra perché inveisce contro la polizia, quella stessa polizia incaricata di proteggere  fascisti e leghisti e caricare i/le contestatori/trici dei vari Di Stefano, Fiore, Meloni, Salvini, spesso poche decine di ragazzi inermi, come è accaduto di recente a Pisa. Lavinia è una cattiva maestra perché è vicina al movimento No tav e non staremo qui a ricordare 20 anni e passa di repressione, carcere, lacrimogeni ad altezza d’uomo, pestaggi contro chi contestava un’opera che ora il governo ha ammesso essere un’opera inutile.
A chi affidiamo la cura dei nostri figli? Confondendo docenza e cura, di questo si preoccupa la famigliola che insegue, angosciata, i miraggi di benessere, pace e serenità della pubblicità del mulino bianco. La preoccupazione è “nelle mani di chi” lasciare i figli quando si è costretti ad assentarsi, attanagliati da un lavoro sempre più fagocitante e meno remunerativo; la preoccupazione è dove, con chi lasciare i figli, ma non l’ odio e la violenza di fascio-leghisti che sparano da un’auto sui migranti o accoltellano alla schiena chi sta attaccando manifesti elettorali, salvo poi ribaltare la versione dei fatti e recitare la parte delle povere vittime con la complicità dei massmedia, come è accaduto a Perugia.
Una brava maestra, invece, cosa dovrebbe fare, secondo l’opinione pubblica fascistizzata e forgiata dai racconti del libro Cuore e dalla pubblicità del mulino bianco? Forse rimanere in classe con il pallottoliere e il gessetto in mano, tra un’ave maria e una salve regina, mentre fuori dalle pareti ovattate di un’aula scolastica i fascisti tengono tranquillamente comizi e fanno proseliti fomentando le masse, sempre più impoverite, contro chi è ammassato sugli ultimi gradini della scala sociale? Una brava maestra dovrebbe forse rimanere ferma e buona al suo posto, pacata, mite, sorridente, addestrare i pargoletti a ripetere le date delle guerre puniche, distogliendo l’attenzione da quello che accade oggi e lasciando ad altri la conduzione del ciclo politico reazionario  in cui il nostro presente sprofonda? E  così che ci si rende meritevoli di quella mancetta di poche decine di euro di aumento stipendiale, piovute come una caritatevole manna dal cielo in prossimità delle elezioni, per tentare di recuperare terreno dopo l’emorragia di voti che ha seccato il bacino elettorale della scuola.
Lavinia non è la maestrina dalla piuma rossa, questo è evidente. Con la sua birra in mano, con la sua rabbia esplosiva, rompe violentemente con l’immaginario femminilizzato, e per questa via reso passivo, succube e innocuo, dell’insegnante tipo, dell’insegnante modello, quella che rimane in classe a ripetere le tabelline e a ringraziare il suo Signore e Padrone della mancetta per il buon servizio reso, quella che chiude le finestre e gli scurini quando fuori infuria la tempesta.
Nel momento in cui scriviamo, la rabbia di Lavinia si sta trasformando in paura. La stampa ha provveduto a sondare gli umori della pancia dell’utenza scolastica, nella ricerca morbosa di testimonianze sull’ inadeguatezza della maestra. Il ministero ha allertato l’ufficio scolastico regionale, il segretario di un partito in agonia e in cerca di consensi per rimontare ha sentenziato: dovrebbe essere licenziata.
Se in questa apologia di una maestra incazzata abbiamo scelto, nostro malgrado, l’anonimato, è perché stiamo con Lavinia e non vogliamo dover subire la rappresaglia oltre che dei commentatori abbrutiti e violenti che  avvelenano il web, anche di una ministra agli sgoccioli che può vantare come unico titolo di merito per l’incarico che ricopre la fedeltà incondizionata – nomen omen, si direbbe – ad un ex premier, segretario di partito sul viale del tramonto, che non ha mai lavorato un solo giorno della sua vita, se non nell’azienda di papà, e che purtuttavia si arroga il diritto di fare la voce grossa e di esprimersi sulla licenziabilità di chi lavora in maniera precaria, con uno stipendio da miseria, lontano dai ripari sicuri della casa paterna e intende la politica come militanza e non come fedele servilismo al potere, ammantato da una patina di ipocrita rispettabilità, tipica del politicante di professione.
L’attacco a Lavinia non è altro che un avvertimento preciso rivolto alla categoria intera, un monito a non uscire fuori dalle righe, a tenere la testa bassa e a continuare il proprio lavoro in silenzio, nel rispetto di un sistema in cui lo spazio per dissentire viene progressivamente azzerato.
Stiamo dalla parte di Lavinia perché rivendichiamo il diritto a rifiutare non solo  un modello di insegnamento passivo e, quindi, autoritario, ma respingiamo anche l’idea secondo cui le/gli insegnanti sarebbero diretta emanazione dei valori e delle regole dello Stato in cui vivono e della sua classe politica.
Stiamo dalla parte di Lavinia perché siamo per una scuola laica, antifascista e antisessista, in direzione contraria di quella che vorrebbero imporci lo stato e il ceto politico; siamo per una scuola libera che, se continua in qualche modo a sopravvivere, è grazie a quelle/quei docenti che dissentono, che quotidianamente decidono di svolgere il proprio mestiere in un altro modo, fuori dalle regole e dalle indicazioni ministeriali, e che per questo vengono spesso isolate/i o attaccate/i.
Stiamo dalla parte di Lavinia perché non vogliamo educare soldatini obbedienti o bravi elettori, ma persone in grado di elaborare un pensiero critico sulla realtà in cui viviamo, la stessa che pensa che la sicurezza sia garantire agibilità politica ai fascisti.
Stiamo dalla parte di Lavinia perché abbiamo tutte le ragioni per essere incazzate e tutto il diritto di urlare ed esprimere la nostra rabbia. Del resto, per quanto dure, sono solo parole. Non siamo noi a disporre di armi, manganelli, lacrimogeni, idranti e a usarli contro gente inerme, che non ha altro da opporre che i propri corpi e  la forza della propria voce.



licenziata per eccesso di antifascismo? – bortocal


la vicenda della maestra antifascista di Torino, ora minacciata di licenziamento da Renzi in persona, per qualche grido truculento in piazza, dimostra da solo a che punto sta arrivando il degrado antidemocratico nel nostro paese sotto l’attiva guida del Partito Demokrat riplasmato da Renzi come partito di destra:
eccola, la riedizione aggiornata dei partiti collaborazionisti dell’Europa dell’Est sotto la cortina di ferro.
solo che ora il collaborazionismo e` non con uno stato del comunismo stalinista degenere, ma con la finanza internazionale.
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obbediente al diktat renzino, l’Ufficio scolastico regionale del Piemonte informa di avere notificato, oggi, un provvedimento disciplinare a Lavinia Flavia Cassaro, ieri sospesa.
La sanzione è stata prospettata “in considerazione della gravità della condotta tenuta dalla docente”.
La “grave condotta” tenuta dalla docente – “seppur non avvenuta all’interno dell’istituzione scolastica contrasta in maniera evidente con i doveri inerenti la funzione educativa e arreca grave pregiudizio alla scuola, agli alunni, alle famiglie e all’immagine stessa della pubblica amministrazione”.

Il direttore generale dell’Ufficio, Fabrizio Manca, “a salvaguardia della serenità della comunità educativa”, ha “sospeso l’insegnante dal servizio fino alla conclusione del procedimento sanzionatorio”.
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la maestra puo` essere processata per il suo comportamento, ci dovrebbe pensare la magistratura e non i politici in cerca di consenso elettorale, ma… licenziata?
È  quello che grida il bullo di Rignano.
bestia! lo conosce il codice disciplinare dei dipendenti pubblici?
si occupa soltanto dei comportamenti in servizio, logicamente!
nessuno può essere licenziato direttamente dall’amministrazione per comportamenti fuori servizio, salvo casi davvero gravissimi.
il ministero dimostri che la maestra sta violando, a scuola, i suoi doveri, e lasci perdere il resto.
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se la maestra verrà condannata ad una pena detentiva prolungata, questa fara` scattare il licenziamento, ma soltanto per l’assenza obbligata dal lavoro.
l’art. 10 del Codice disciplinare valido per tutti i dipendenti pubblici parla di Comportamento nei rapporti privati
1. Nei rapporti privati, comprese le relazioni extralavorative con pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni, il dipendente non sfrutta, ne’ menziona la posizione che ricopre nell’amministrazione per ottenere utilita’ che non gli spettino e non assume nessun altro comportamento che possa nuocere all’immagine dell’amministrazione.
ma sono rapporti privati quelli stabiliti dalla maestra con i poliziotti in piazza, anche se in modo certamente improprio?
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ma anche a volerli fare rientrare in questo articolo, si giustifica un licenziamento addirittura per una frase gridata in un momento di rabbia?
ma dai! siamo pur sempre in uno stato di diritto, anche se i demokrat stanno cercando da tempo di farcene uscire.
chi sono i populisti, i populisti cattivi, altrimenti detti fascisti, in questo caso?

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allego a questo punto le norme disciplinari in vigore, che fanno parte del Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro del personale della scuola, per chi vuole verificarle di persona: per il licenziamento richiede (ragionevolmente) la recidiva plurima nell’anno o nel biennio di comportamenti gravi:
4. La sanzione disciplinare dal minimo del rimprovero verbale o scritto al massimo della multa di importo pari a quattro ore di retribuzione si applica, graduando l’entità delle sanzioni in relazione ai criteri di cui al comma 1, per:
a) inosservanza delle disposizioni di servizio, anche in tema di assenze per malattia, nonché dell’orario di lavoro;
b) condotta non conforme a princìpi di correttezza verso i superiori o altri dipendenti o nei confronti dei genitori, degli alunni o del pubblico;
c) negligenza nell’esecuzione dei compiti assegnati ovvero nella cura dei locali e dei beni mobili o strumenti affidati al dipendente o sui quali, in relazione alle sue responsabilità, debba espletare azione di vigilanza;
d) inosservanza degli obblighi in materia di prevenzione degli infortuni e di sicurezza sul lavoro ove non ne sia derivato danno o disservizio;
e) rifiuto di assoggettarsi a visite personali disposte a tutela del patrimonio dell’Amministrazione, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 6 della legge n. 300 del 1970;
f) insufficiente rendimento, rispetto a carichi di lavoro e, comunque, nell’assolvimento dei compiti assegnati; 
g) violazione di doveri di comportamento non ricompresi specificatamente nelle lettere precedenti, da cui sia derivato disservizio ovvero danno o pericolo all’Amministrazione, agli utenti o ai terzi.
6. La sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a un massimo di 10 giorni si applica, graduando l’entità della sanzione in relazione ai criteri di cui al comma 1, per:
a) recidiva nelle mancanze previste dal comma 4 che abbiano comportato l’applicazione del massimo della multa;
b) particolare gravità delle mancanze previste nel comma 4;
c) assenza ingiustificata dal servizio fino a 10 giorni o arbitrario abbandono dello stesso; in tali ipotesi, l’entità della sanzione è determinata in relazione alla durata dell’assenza o dell’abbandono del servizio, al disservizio determinatosi, alla gravità della violazione dei doveri del dipendente, agli eventuali danni causati all’Amministrazione, agli utenti o ai terzi;
d) ingiustificato ritardo, fino a 10 giorni, a trasferirsi nella sede assegnata dai superiori;
e) testimonianza falsa o reticente in procedimenti disciplinari o rifiuto della stessa;
f) comportamenti minacciosi, gravemente ingiuriosi, calunniosi o diffamatori nei confronti dei superiori, di altri dipendenti, dei genitori, degli alunni o dei terzi;
g) alterchi con ricorso a vie di fatto negli ambienti di lavoro, anche con genitori, alunni o terzi;
h) manifestazioni ingiuriose nei confronti dell’Amministrazione, esulanti dal rispetto della libertà di pensiero, ai sensi dell’art. 1 della legge 300 del 1970;
i) atti, comportamenti o molestie, anche di carattere sessuale, che siano lesivi della dignità della persona;
l) violazione di doveri di comportamento non ricompresi specificatamente nelle lettere precedenti da cui sia, comunque, derivato grave danno all’Amministrazione, ai genitori, agli alunni o a terzi.
7. La sanzione disciplinare del licenziamento con preavviso di applica per:
a) recidiva plurima, almeno tre volte nell’anno, nelle mancanze previste nel comma 6, anche se di diversa natura, o recidiva, nel biennio, in una mancanza tra quelle previste nel medesimo comma, che abbia comportato l’applicazione della sanzione di dieci giorni di sospensione dal servizio e dalla retribuzione;
b) occultamento, da parte del responsabile della custodia, del controllo o della vigilanza, di fatti e circostanze relativi ad illecito uso, manomissione, distrazione o sottrazione di somme o beni di pertinenza dell’Amministrazione o ad essa affidati;

c) rifiuto espresso del trasferimento disposto per motivate esigenze di servizio;
d) assenza ingiustificata ed arbitraria dal servizio per un periodo superiore a dieci giorni consecutivi lavorativi;
e) persistente insufficiente rendimento o fatti che dimostrino grave incapacità ad adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio;
f) condanna passata in giudicato per un delitto che, commesso fuori del servizio e non attinente in via diretta al rapporto di lavoro, non ne consenta la prosecuzione per la sua specifica gravità;
g) violazione dei doveri di comportamento non ricompresi specificatamente nelle lettere precedenti di gravità tale, secondo i criteri di cui al comma 1, da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro.
8. La sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso si applica per:
a) terza recidiva nel biennio di: minacce, ingiurie gravi, calunnie o diffamazioni verso il pubblico o altri dipendenti; alterchi con vie di fatto negli ambienti di lavoro, anche con utenti;
b) accertamento che l’impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi e, comunque, con mezzi fraudolenti;
c) condanne passate in giudicato:
1. di cui art. 58 del D.lgs. 18 agosto 2000, n.267 ,nonchè per i reati di cui agli art. 316 e 316 bis del codice penale; 
2. quando alla condanna consegua comunque l’interdizione perpetua dai pubblici uffici;
3. per i delitti indicati dall’art. 3, comma 1, della legge n. 97 del 2001.
d) condanna passata in giudicato per un delitto commesso in servizio o fuori servizio che, pur non attenendo in via diretta al rapporto di lavoro, non ne consenta neanche provvisoriamente la prosecuzione per la sua specifica gravità;
e) commissione in genere di fatti o atti dolosi, anche non consistenti in illeciti di rilevanza penale per i quali vi sia obbligo di denuncia, anche nei confronti di terzi, di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.

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