mercoledì 1 novembre 2017

Emigrare non è neoliberale - Lorenzo Guadagnucci


Questa mattina alla radio un giornalista a suo perfetto agio nello  spirito dei tempi, nel lodare la politica mediterranea del governo Gentiloni-Minniti, ha fatto cenno al ruolo svolto dalle navi di soccorso inviate da alcune Ong affermando che la loro presenza aveva “azzerato il rischio d’impresa dei trafficanti”. Quest’espressione è abbastanza insolita ma davvero esemplare, perché esprime piuttosto bene, sia nel linguaggio sia nella visione del mondo da cui deriva, l’attuale ordine delle cose, per citare il bel film di Andrea Segre dedicato per l’appunto agli accordi Italia-Libia e alla dissimulata guerra ai migranti in corso.
Il gergo economicista – il “rischio d’impresa” – rimanda senza esitazioni all’ideologia neoliberale dominante e riflette l’approccio anti umanista tipico della politica istituzionale, del giornalismo, di larga parte dell’accademia in materia di migrazioni e non solo.
A voler seguire il filo del discorso, dovremmo pensare che le navi delle Ong, secondo il nostro giornalista, garantivano la salvezza della vita e quindi l’approdo dei migranti in Europa, permettendo ai trafficanti di moltiplicare le partenze e di lasciare a quelle imbarcazioni umanitarie il compito di portare a termine il trasferimento: tutto molto facile, quindi senza rischio d’impresa, quasi un mercato truccato.

Si potrebbe obiettare, volendo restare nella logica economicista, che non è proprio così, perché le navi di soccorso non garantivano affatto la salvezza né la possibilità d’essere davvero accolte in Italia alle persone in viaggio, tanto che molte di loro sono morte in mare, ma il succo è che la loro espulsione di fatto dal canale di Sicilia ha fatto salire il rischio di annegare e non arrivare in porto, riducendo quindi il numero dei viaggi e la percentuale dei superstiti.
E’ tutto molto semplice e il beneficio – per il nostro giornalista – è ben evidente: meno persone approdate sulle nostre coste. Gli accordi stretti fra il nostro governo e le varie fazioni e milizie che attualmente si spartiscono ciò che chiamiamo Libia hanno fatto il resto.
E’ così che si ragiona nei palazzi del potere e nelle redazioni dei giornali: in termini di flussi, di “stop all’invasione”, di tangibili e misurabili risultati, in una sorta di partita doppia che riporta da un lato le cifre buone da tenere d’occhio (cioè meno arrivi possibili) e dall’altro ciò che occorre fare per tenere in ordine la prima colonna: va da sé che questa seconda colonna è scritta con una neolingua che permette di non perdere tempo con inutili e anti economici scrupoli di coscienza: gli accordi con le milizie e con gli ex trafficanti diventano così patti coi sindaci; i milioni di euro versati a questi signori, al governo fantoccio di El Serraj e alla milizia personale di Khalifa Haftar diventano accordi economici per la stabilità della Libia; la condanna allo stupro, alla detenzione indeterminata, forse anche alla morte di persone colpevoli di aspirare all’emigrazione un prezzo da pagare in vista di un futuro intervento dell’Onu in appositi campi di detenzione.
Se poi qualcuno volesse obiettare che in questo modo si distruggono le fondamenta di ciò che finora abbiamo considerato importante, anzi decisivo per la qualità della nostra convivenza – la preminenza del principio di umanità e di uguaglianza fra le persone, la tutela dei diritti umani fondamentali, la concezione dell’unità europea come esempio di apertura e civiltà – ecco che scatta l’accusa di “buonismo”, concetto entrato a pieno titolo nel lessico dell’ortodossia neoliberale che regola il mondo. E comunque, altrettanto ovviamente, ciò che stanno facendo il governo Gentiloni-Minniti e l’Unione europea sono una risposta efficace a un problema serio, mentre chi solleva obiezioni è mosso da ideologia o da sentimentalismo e non ha soluzioni serie da proporre. Quindi il discorso è chiuso.
Questo è l’ordine delle cose, questo è il tenore della discussione, anzi della non discussione, visto che in una cornice che esclude per principio l’elemento umano, un modo diverso dal modello Libia (e Turchia), cioè soldi e armi a chi sia in grado di garantire detenzione decentrata, non è nemmeno immaginabile. L’ideologia neoliberale, pardon il naturale ordine delle cose, non ammette altro. Aiutiamoli, o meglio arrestiamoli a casa loro (o almeno in quei paraggi, prima che osino affrontare il Mare Nostrum senza un apprezzabile rischio di impresa).

PS Chi volesse opporre resistenza allo spirito dei tempi e disintossicarsi della sinistra sicumeraespressa da pressoché tutti i giornalisti e commentatori che vanno per la maggiore, può leggersi il bel romanzo di Davide Enia, “Appunti per un naufragio” (Sellerio), che ci porta in una Lampedusa dove le persone che superano la prova del barcone – quella che un tempo era a basso rischio d’impresa mentre ora è più in linea con le leggi del mercato – sono descritte per quello che sono: persone coraggiose e degne di ammirazione, oltre che d’essere coinvolte in progetti legali e sicuri di espatrio verso un’Europa che ambisca a restare civile e democratica. Parola di buonista ideologico sentimentale e ingenuo.

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