domenica 10 settembre 2017

Afonsinho, centrocampista antifascista - David Lifodi

Barbudos nel Botafogo e nella Seleção? Nemmeno per sogno”. Fu così che venne interrotta la carriera di successo di Afonso Celso Garcia Reis, il centrocampista con barba e capelli lunghi a cui fu proposto addirittura di entrare nella lotta armata contro il regime militare brasiliano al potere dal 1964 al 1985.
Afonsinho, questo il soprannome del calciatore, avrebbe continuato a giocare, ma sia la dirigenza del Botafogo, una delle squadre di Rio de Janeiro, sia Mario Zagallo, l’allenatore del Brasile che aveva condotto la Seleção alla vittoria della Coppa del mondo in Messico nel 1970, battendo per 4-1 l’Italia, lo giudicarono troppo di sinistra sia per via del suo look sia perché non sopportavano che il ragazzo non si occupasse solo di calcio, ma anche di tutto ciò che accadeva in quegli anni in Brasile. Tra il 1965 e il 1970 Afonsinho non solo giocò accanto a campioni come Gerson e Jairzinho, ma partecipò, assieme agli studenti, alle manifestazioni contro la dittatura. “Se non c’è la giustizia, difficilmente si raggiungerà la pace”, aveva commentato l’ex calciatore, oggi medico a Rio de Janeiro, a proposito del colpo di stato ordito da Michel Temer contro Dilma Rousseff. A 22 anni Afonsinho era uno dei migliori centrocampisti del Brasile, ma pur sapendo che le sue convinzioni gli avrebbero precluso una carriera migliore non fece mai abiura delle sue idee politiche e nemmeno la cacciata dal Botafogo, da cui fu temporaneamente allontanato, servì per cambiare la sua visione del mondo. Al ritorno nella squadra alvinegra (bianconera) dall’Olaria, formazione della zona nord di Rio de Janeiro assai meno titolata del Botafogo che Afonsinho trascinò comunque al terzo posto del campionato, a soli quattro punti dai campioni del Fluminense, il centrocampista si ripresentò con la stessa barba e gli stessi capelli lunghi. “Posso farla finita con il calcio anche subito” dichiarò al termine di quella sorta di esilio sportivo durante il quale il Botafogo aveva addirittura rifiutato di concedergli la divise da gioco e per gli allenamenti. Per fortuna Afonsinho non si ritirò e la sua perseveranza in un mondo comunque conservatore come quello calcistico lo trasformò in icona dei calciatori antifascisti, con buona pace del tecnico Zagallo, simpatizzante della giunta militare. Grazie alla sua battaglia legale contro il Botafogo, Afonsinho divenne il primo giocatore brasiliano a conquistare il diritto di essere svincolato. Fino ad allora, infatti, i calciatori erano di esclusiva proprietà del club e, se venivano messi fuori squadra, non avevano la possibilità, come adesso, di cambiare maglia. Ancora oggi, a proposito dei procuratori dediti a fare gli interessi dei calciatori, ma soprattutto i propri, Afonsinho non ha alcuna remora nel definirli come “trafficanti di schiavi”.
All’inizio degli anni ’70, il musicista Gilberto Gil, anch’esso perseguitato dal regime e costretto all’esilio, gli dedicò la canzone Meio de Campo e, il regista Oswaldo Caldeira parlò del calciatore nel film Passe Livre. Contemporaneamente era cresciuta anche l’attenzione del regime militare nei confronti di Afonsinho, che, in quanto studente di Medicina, si inseriva benissimo nel filone del più celebre “dottore”, Socrates, e del suo Corinthias. Addirittura, un giornalista confessò al calciatore che la polizia politica gli aveva chiesto di seguire ogni sua mossa. In qualità di calciatore impegnato e studente, Afonsinho non disdegnava di partecipare a dibattiti sulla situazione politica che stava vivendo il suo paese e in questo contesto gli fu proposto di aderire alla guerriglia, ma rifiutò perché altrimenti sarebbe stato costretto ad abbandonare il mondo del calcio.
L’alvinegro antifascista, così era soprannominato Afonso Celso Garcia Reis, terminò la sua carriera nel 1982 dopo aver indossato anche le maglie di Vasco da Gama, Santos, Flamengo, America e Fluminense. Quando appese le scarpe al chiodo per il regime fu un sollievo, così come per i dirigenti delle principali squadre brasiliane. Ad esempio, ammette Tostão, un altro campione storico del Brasile di quegli anni, fu grazie ad Afonsinho che i calciatori cominciarono a prendere coscienza di essere dei veri e propri schiavi nelle mani di società senza scrupoli. “Conosco soltanto un uomo libero nel mondo del calcio” ebbe a dire una volta Pelé riferendosi ad Afonsinho, ancora oggi senza peli sulla lingua nel denunciare il cosiddetto mercantilismo esportivo.

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