domenica 10 settembre 2017

1917-2017: ricordando Franco Fortini


«Le vetrine di Auschwitz»
Le vetrine di Auschwitz
sono giustamente mute
a chi non le investe
di una partecipazione presente.
Non solo quelle vittime
ma tutto il passato può parlare
solo a condizione che noi
gli diamo da bere
il nostro sangue,
come avviene nell’oltretomba
dei miti antichi.
E per questo è necessaria
la pressione di passioni e
desideri.
Possiamo imparare qualcosa
dallo ieri solo nell’esatta
misura in cui
desideriamo un domani.

10 poesie di Franco Fortini tratte da “Versi scelti (1939-1989)”
1
Da “Foglio di via”

E QUESTO È IL SONNO
E questo è il sonno, edera nera, nostra
Corona: presto saremo beati
In una madre inesistente, schiuse
Nel buio le labbra sfinite, sepolti.
E quel che odi poi, non sai se ascolti
Da vie di neve in fuga un canto o un vento,
O è in te e dilaga e parla la sorgente
Cupa tua, l’onda vaga tua del niente.

QUANDO
Quando dalla vergogna e dall’orgoglio
Avremo lavate queste nostre parole.
Quando ci fiorirà nella luce del sole
Quel passo che in sonno si sogna.

VICE VERIS
Mai una primavera come questa
È venuta nel mondo. Certo è un giorno
Da molto tempo a me promesso questo
Dove tutto il mio sguardo si fa eguale
Ai miei confini, riposando; e quanta
Calma giustizia nel pensiero è in fiore
Quanta limpida luce orna il colore
Delle ombre del mondo. Ora conosco
Perché mai degli inverni ove a fatica
Si levò questo esistere mio vivo
M’è rimasto quel nome, che mi scrivo
Su quest’aria d’aprile, o sola antica
E perduta oltre il pianto sempre cara
Immagine d’amore mia compagna.

FOGLIO DI VIA
Dunque nulla di nuovo da questa altezza
Dove ancora un poco senza guardare si parla
E nei capelli il vento cala la sera.
Dunque nessun cammino per discendere
Se non questo del nord dove il sole non tocca
E sono d’acqua i rami degli alberi.
Dunque fra poco senza parole la bocca.
E questa sera saremo in fondo alla valle
Dove le feste han spento tutte le lampade.
Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.

LA ROSA SEPOLTA
Dove ricercheremo noi le corone di fiori
le musiche dei violini e le fiaccole delle sere
Dove saranno gli ori delle pupille
Le tenebre, le voci – quando traverso il pianto
Discenderanno i cavalieri di grigi mantelli
Sui prati senza colore, accennando. E di noi
Dietro quel trotto senza suono per le valli
D’esilio irrevocabili, seguiranno le immagini.
Ma il più distrutto destino è libertà.
Odora eterna la rosa sepolta.
Dove splendeva la nostra fedele letizia
Altri ritroverà le corone di fiori.
da “Un’altra attesa”

L’ORA DELLE BASSE OPERE
È tutto chiaro ormai,
le parole dei libri diventate
tutte vere. Tutti gli altri lo sanno.
T’hanno detto di fare due passi avanti
in mezzo al cortile d’acqua e vento,
di lumi gialli prima dell’alba.
Vedi cani maestri con grembiali di cuoio
scaricare quarti umani per le celle
refrigerate e crusca
sotto i ganci cromati. Gli scontrini
li timbrano alla porta
dove a battenti aperti aspetta un camion.
Era giorno, i postini
sgrondavano gli incerati nelle guardiole.

UNA FREQUENZA
E a mezzo della pagina che leggi,
a mezzo della lettera che scrivi, il no per sempre
e il mai più.
Quasi calda è la fronte ancora ma irradia
soltanto il suo segnale ormai. Così
lo sterno della bestia disgregata
nel carbonio e la scoria nel cemento
viva murata morderanno sempre.
Da “La posizione”


L’APPARIZIONE

Continua a sparire e apparire un uomo innominabile. È come
nel video. Non lo senti urlare.
Ha le mani nel mucchio del tenue che cola sulle cosce, le
sclere sgusciate.
Ma non lo devi rappresentare.
Non devi forzare nessuna parola.
Tutto è da contemplare.
Tutto è da fare.
Da “Versi a un destinatario”

GLI OSPITI
I presupposti da cui moviamo non sono arbitrari.
La sola cosa che importa è
il movimento reale che abolisce
lo stato di cose presente.
Tutto è diventato gravemente oscuro.
Nulla che prima non sia perduto ci serve.
La verità cade fuori dalla coscienza.
Non sapremo se avremo avuto ragione.
Ma guarda come già stendono le loro stuoie
attraverso la tua stanza.
Come distribuiscono le loro masserizie,
come spartiscono il loro bene, come
fra poco mangeranno la nostra verità!
Di noi spiriti curiosi in ascolto
prima del sonno parleranno.
Da “Il falso vecchio”

IV.

Il verbo al presente porta tutto il mondo.
Mi chiedo dove sono i popoli scomparsi.
Il fattorino vestito di grigio in cortile mi dice
che alcuni stanno nascosti sotto il primo sottoscala.
Ho portato con me sotto il primo sottoscala
le ceneri di Alessandro, il pianto di Rachele.
Il verbo al presente mi permette di scomparire.
Il fattorino non vede più dove sono scomparso.


Franco Fortini scrisse anche una nuova versione de L’Internazionale: bellissima secondo me nel ripartire dal difficile oggi per guardare ancora avanti. La potete ascoltare in «Vent’anni e più di… Circolo Gianni Bosio», un bellissimo doppio cd (34 brani, due ore di musica) distribuito anni fa da «il manifesto»: ve lo consiglio moltissimo-issimo, assaissimo, muchissimo.
Le parole di Fortini lì sono in eccellente compagnia: Giovanna Marini, Paolo Pietrangeli, Ivan della Mea, Ambrogio Sparagna, la Bosio Big Band, Lucilla Galeazzi, Gang, Sara Modigliani, Daniele Sepe, Piero Brega, Ascanio Celestini, Canzoniere del Lazio, Acquaragia Drom… tutti passati per il circolo Bosio come pure Pete Seeger e i nicaraguensi del gruppo di Luís Enrique Mejía Godoy, Barbara Dane, Evelina Meghnagi, Pape Siriman Kanoute, Gabin Dabiré con altre/i fra ottava rima e jazz, tarantella e rock, blues e ballate, filastrocca e canzone politica, ninna nanna e canto contadino fino all’ultima traccia del cd che ripercorre i “suoni cantati” della manifestazione sindacale del 23 marzo 2002 in difesa dell’articolo 18. E come scrive Sandro Portelli nel presentarlo sono 20 anni (e più) con «la convinzione di una nuova era / che al mondo porterà la redenzione». Con la convinzione che non abbiamo patria, che la futura umanità sarà L’Internazionale.

Ecco la nuova «L’internazionale» di Franco Fortini
«Noi siamo gli ultimi del mondo
ma questo mondo non ci avrà
noi lo distruggeremo a fondo
spezzeremo la società.
Nelle fabbriche il capitale
come macchine ci usò
nelle sue scuole la morale
di chi comanda ci insegnò.
Questo pugno che sale
questo canto che va
è l’internazionale
un’altra umanità.
Questa lotta che eguale
l’uomo a l’uomo farà
è l’Internazionale… fu vinta e vincerà.
Noi siamo gli ultimi di un tempo
che nel suo male sparirà
qui l’avvenire è già presente
chi ha compagni non morirà
al profitto e al suo volere
tutto l’uomo si tradì
ma la Comune avrà il potere
dov’era il no faremo il sì.
Questo pugno che sale
questo canto che va (di nuovo il ritornello)
E tra di noi divideremo
lavoro, amore, libertà
e insieme ci riprenderemo
la parola e la verità
Guarda il viso, tienili a memoria
chi ci uccise, chi mentì.
Compagno porta la tua storia
alla certezza che ci unì.
Questo pugno che sale
questo canto che va … (di nuovo)
Noi non vogliamo sperare niente
il nostro sogno è la realtà
da continente a continente
questa terra ci basterà
classi e secoli ci hanno straziato
fra chi sfruttava e chi servì.
Compagno esci dal passato
Verso il compagno che ne uscì».
Fu vinta e vincerà.

Potete ascoltarla, nell’interpretazione di Ivan Della Mea, anche qui:


FU ANCHE TRADUTTORE FORTINI, ECCO UN ESEMPIO
Il compagno di viaggio - Bertolt Brecht
Quando anni fa ho imparato
a portare l’auto, il mio maestro di guida mi disse
di fumare il sigaro e se
negli ingorghi del traffico o nelle curve strette
mi si spegneva, mi levava il volante di mano. Anche
raccontava storielle, durante il percorso; e quando io
troppo occupato non ridevo, mi toglieva
la guida. Mi sento malsicuro, diceva,
io, il compagno di viaggio, mi spavento se vedo
chi guida l’auto troppo occupato
a guidare.
Da allora lavorando
sto attento a non sprofondarmi troppo nel lavoro.
Bado a diverse cose intorno a me,
talvolta interrompo il mio lavoro per conversare un poco.
A correr tanto presto da non poter fumare
ho saputo disabituarmi. Penso
a chi viaggia con me.

da qui

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