sabato 8 luglio 2017

è ufficiale: ingresso vietato in Israele a chi sostiene il Bds


 Dopo la legge arrivano i primi regolamenti: il quotidiano israeliano Haaretz ha pubblicato ieri la lista delle 28 linee guida predisposte dall’Autorità israeliana per la popolazione, l’immigrazione e i confini per vietare l’ingresso a cittadini stranieri. E per la prima volta compare esplicitamente la dicitura “attività di Bds”: il visto di ingresso sarà negato a chi è ritenuto membro, attivista o sostenitore della campagna globale di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele.
A questa si aggiungono altre 27 ragioni di denied entry, tra cui rischio di attività criminali, bugie nell’indicare le ragioni del viaggio, sospetto di voler restare illegalmente in Israele, mancanza di collaborazione con il personale di sicurezza, intento sospetto di voler lavorare illegalmente in Israele, comportamento violento, intento sospetto di portare avanti attività missionarie, sospetto di voler diventare un peso per Israele (concetto non meglio identificato, ma legato probabilmente alla mancanza di mezzi finanziari sufficienti).
Inoltre, secondo le linee guida, nel caso si sospetti che il cittadino straniero voglia visitare i Territori Palestinesi Occupati dovrà essere sottoposto a interrogatorio anche da parte di funzionari dell’esercito israeliano.
Per la prima volta Israele mette nero su bianco il divieto di ingresso a attivisti del Bds, sebbene in passato – in particolare negli ultimi mesi – persone considerate legate alla campagna di boicottaggio siano state già rispedite indietro ai confini terrestri israeliani. In quei casi, però, non era stato indicato il Bds come ragione del diniego. A dicembre era toccato a Isabel Piri, membro del Consiglio Mondiale delle Chiese e poco dopo – ufficialmente non per Bds – al direttore di Human Rights Watch in Palestina e Israele, Omar Shakir.
A febbraio Haaretz aveva pubblicato il numero di persone a cui era stato rifiutato l’ingresso in Israele nel 2016: un aumento di nove volte rispetto ai cinque anni precedenti, 16.534 contro i 1.870 del 2011.
Il 6 marzo di quest’anno il parlamento israeliano aveva approvato in terza lettura con 46 voti a favore e 28 contrari la legge anti-Bds, che vieta ai cittadini stranieri che appoggiano pubblicamente il Bds l’ingresso nel paese. Non solo chi fa campagna contro il boicottaggio dello Stato di Israele, ma anche chi sostiene quello delle colonie illegali nei Territori Occupati, visione condivisa dalla comunità internazionale – a partire dall’Unione Europea – che considera gli insediamenti illegali secondo il diritto internazionale.
Una legge nata su inziativa del partito nazionalista Casa Ebraica, rappresentante del movimento dei coloni, e fatta propria dal Likud del premier Netanyahu. Proteste all’epoca erano giunte da Campo Sionista, formazione centrista che ha messo insieme i laburisti di Herzog e i centristi dell’ex ministro Livni, ma soprattutto dalla Lista Araba Unita, federazione dei quattro partiti arabi di Israele, che ha parlato chiaramamente di “attacco al legittimo dissenso sulle politiche israeliane”.
La notizia delle 28 linee guida arriva a poca distanza da un’altra notizia, quasi ignorata dai media internazionali: mentre il presidente indiano Modi faceva visita al premier Netanyahu per rafforzare i rapporti tra Tel Aviv e Nuova Delhi saltando la tradizionale tappa di Ramallah e l’ufficio del presidente palestinese Abu Mazen, l’African National Congress votava per ridurre il livello di rappresentanza diplomatica del Sud Africa in Israele.
Il partito di governo sudafricano ha deciso di declassare la presenza diplomatica di Pretoria per protestare contro l’occupazione militare dei Territori Palestinesi e “inviare un forte messaggio sulla continua occupazione della Palestina e i continui abusi dei diritti umani contro il popolo palestinese”. Un atto simbolico importante da parte di chi ha sconfitto il regime di apartheid anche grazie al boicottaggio globale. 

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