lunedì 6 marzo 2017

STUPRARE UNA BAMBINA E’ MENO GRAVE DI PROTESTARE CONTRO IL TAV

[Vi sembra che qualcosa non vada alla Procura di Torino? Che le poche risorse destinate al funzionamento degli uffici giudiziari siano tutte finalizzate alla repressione contro i No Tav, anche per ‘reati bagatellari’ a scapito di altri processi? Credete che la creazione, all’interno della Procura di Torino, della sezione denominata Gruppo Tav sia stata la conseguenza o la causa della cd emergenza No Tav? Approfondiamo il discorso a partire da questi due articoli tratti da NoTav.info. Buona lettura da Alexik. ]
I tempi dei processi per la Procura di Torino: 20 anni per stupro, due anni per i no tav
Ha fatto giustamente scalpore la notizia del caso dello stupro su una bambina di sette anni caduto in prescrizione dopo un processo lungo 20 anni. La giudice della Corte d’Appello di Torino, ieri ha emesso la sentenza prosciogliendo il violentatore, condannato in primo grado a 12 anni di carcere dal tribunale di Alessandria, perché è trascorso troppo tempo dai fatti contestati: vent’anni. La bambina di allora oggi ha 27 anni. All’epoca dei fatti ne aveva sette.
Un fatto spregevole, di una gravità inaudita, almeno quanto il fatto in oggetto. Si sono sprecate le prese di posizione del sistema giudiziario piemontese, che piangendo lacrime di coccodrillo ha detto tramite il procuratore generale Saluzzo che h affermato che “l’Appello un collo di bottiglia“.
Da anni (e a ragion veduta) ormai denunciamo i tempi sospetti dei processi, (e invitiamo la visione del docu-film Archiviato in merito) in primo grado e in appello, imbastiti dalla procura di Torino contro il movimento notav, ribadendo più volte come ci sia una corsia preferenziale per i fatti che ci vengono attribuiti, di lieve entità e tutti connessi al conflitto sociale, rispetto ad altre cause…ed oggi questi sono i danni che questo modo d’intendere “la giustizia” crea, arrivando a liberare uno stupratore per avvenuta prescrizione.
Parliamo di questo fatto con rabbia ed infinito dolore, ma consapevoli che le lacrime versate dai togati torinesi sono sono lacrime di coccodrillo, ipocrite ed in taluni casi in malafede. E lo dimostriamo con l’ultimo fatto avvenuto e comunicato proprio oggi, del qual riportiamo la news dall’Ansa:
“Poco più di nove mesi sono bastati alla Corte d’appello di Torino per fissare il processo a tre attivisti No Tav imputati per disordini scoppiati nel 2015 in Valle di Susa durante una manifestazione. La sentenza di primo grado (tutti condannati a due anni e sette mesi) è del 21 giugno 2016, l’appello si aprirà il prossimo 31 marzo. Il provvedimento è stato comunicato oggi alle parti in causa. “Evidentemente – commenta l’avvocato Cristina Patrito, che assiste gli imputati con i colleghi Danilo Ghia e Claudio Novaro – i No Tav sono oggetto di attenzioni anomale rispetto ad altri. In un contesto, quello torinese e piemontese, in cui vengono trascurati processi di ben più grave allarme sociale”. I tafferugli scoppiarono il 27 gennaio 2015 nel corso di una dimostrazione di protesta contro la sentenza, pronunciata quel giorno, del maxi processo ai No Tav per gli scontri dell’estate 2011.(ANSA)”
In realtà la sentenza è stata depositata il 12.7.16, poi calcolando l’ interruzione termini per il mese di agosto, alla Corte l’appello è arrivato presumibilmente verso ottobre. Quindi in realtà sono bastati 3 – 4 mesi per fissare la data alla Corte.
Per semplificare ancora: Udienza preliminare 13.11.2015, appello 31.3.2017.
Quindi sono serviti 20 anni per un processo per stupro ad una bambina e ne sono bastati 2 anni per un processo contro i notav.
Tutto ciò non perchè ci sentiamo al centro del mondo, ma perchè come volte accade l’ingiustizia, alla quale in molti gridano, ha nomi, cognomi e responsabilità ben precise, e non ci stancheremo mai di denunciarlo pubblicamente. Vergogna!
No Tav e repressione: una storia antica da Caselli a Spataro
I “Criteri di organizzazione dell’Ufficio” della Procura della Repubblica di Torino, predisposti dal dott. Spataro nell’estate delle scorso anno, segnano sotto diversi aspetti una discontinuità con la precedente “gestione” Caselli.
Per quanto concerne il movimento No Tav, il dato più interessante è costituito dalla cancellazione della sezione specializzata definita “Gruppo TAV” (curiosamente chiamata “No Tav”, in altra parte del documento, alle pagine 36, 41 e 96), a cui dovevano essere assegnati “i procedimenti per qualsiasi tipo di reato connesso alla costruzione del cd. impianto Tav, sia in occasione di manifestazioni pubbliche, che in materia di appalti”, ma che curiosamente ha finito per occuparsi, appunto, solo dei reati commessi nel corso delle manifestazioni indette dal movimento No Tav.
E’ noto che la costituzione di tale sezione specializzata ha comportato, nei fatti, l’investimento di importanti risorse nella repressione del conflitto sociale valsusino e la costruzione di un circuito processuale ad alta velocità che ha consentito  di definire speditamente tali procedimenti (i famosi 1000 imputati con le oltre 200 condanne in primo grado, di cui hanno parlato più volte i giornali).
Dall’anno scorso la sezione Tav è stata accorpata alla vecchia sezione “Reati di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico”,  con l’istituzione di un unico gruppo specializzato denominato ”Terrorismo ed eversione dell’ordine democratico, reati in occasione di manifestazioni pubbliche”.
Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire. Si tratta, a prima vista, di un aggiornamento in chiave giudiziaria del vecchio detto  «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».
Il dato sorprendente è però un altro.
Nel riferirsi alla costituzione dell’originario gruppo Tav (o, più correttamente, No Tav) il dott. Spataro, nel documento sopra richiamato, fa riferimento ad un provvedimento del dott. Caselli del 13.1.2010, che in tale data avrebbe istituito la sezione specializzata.
Segnatevi la data: 13 gennaio 2010.
Chi conosce la storia giudiziaria dei processi contro i militanti del movimento sa che, dopo la parentesi del 2005, legata alla battaglia del Seghino e ai pestaggi di Venaus, non c’erano stati, sino al 2010, episodi di rilevanza penale tali da meritare l’apertura di un fascicolo processuale.
In effetti, solo nel gennaio 2010 iniziano i presidi e le manifestazioni di opposizione ai sondaggi, realizzati da LTF sui terreni della Consepi.
La cosa curiosa è però che le prime due comunicazioni di reato per tali vicende arrivano sul tavolo della Procura rispettivamente il 10 gennaio e il 15 gennaio, per i primi due presidi effettuati in località Traduerivi il 9.1.2010 e il 12.1.2010.
E, invece, già il 13 gennaio dello stesso anno, dimostrando così una straordinaria capacità predittiva e divinatoria, i vertici della Procura decidono di costituire un’apposita sezione di magistrati, che, caso più unico che raro nella storia giudiziaria, viene istituita prima che i reati vengano commessi.
Alla data della sua istituzione, infatti, la sezione Tav dispone di una sola notizia di reato, relativa, tra l’altro, ad un’invasione  terreni, reato previsto dalla norma contenuta nell’art. 633  del codice penale, vale a dire un reato che più modesto e inoffensivo non si può, tant’è che il relativo processo si definirà poi  davanti al Tribunale con alcune condanne alla pena della multa.
E, invece, di fronte a tale fatto di evidente straordinaria tenuità (che tale non può che essere parso anche ai magistrati inquirenti, nonostante la loro indubbia vocazione all’iperbole descrittiva e alla sovradimensione nel corso della qualificazione dei fatti reato) che fanno i vertici della Procura?
Decidono di dirottare imponenti risorse umane ed economiche su questo fronte repressivo, distogliendo alcuni PM dai loro normali compiti d’ufficio per destinarli ad una sezione che non aveva però, in allora, materiale su cui investigare.
Sarebbe interessante conoscere le ragioni di tale sorprendente decisione.
Si tratta, in ogni caso, di una scelta che rivela come la strategia di repressione contro il movimento No Tav abbia radici antiche e non del tutto chiare, visto che la relativa sezione specializzata non nasce come risposta organizzativa alla necessità di affrontare una moltitudine di procedimenti per fatti simili (come ad esempio è avvenuto per le altre sezioni,  relative, ad esempio, alla trattazione dei reati di riciclaggio e usura o dei reati in tema di tutela dell’ambiente o contro la pubblica amministrazione) ma anticipa la verifica dell’esistenza di tali reati.
La cronologia della vicenda sembrerebbe confermare che si è trattato di una scelta fatta a tavolino, non dettata da ragioni connesse all’adozione di moduli organizzativi più efficienti e specializzati, ma maturata, con ogni probabilità, nell’ambito di una strategia più complessiva.
Fatto sta che, fin dal gennaio 2010, la risposta giudiziaria è stata individuata come uno dei pilastri fondamentali della complessiva lotta che le istituzioni di questo paese hanno deciso di ingaggiare contro coloro che difendono la propria terra dalla devastazione del progetto ad alta velocità ferroviaria.
E allora sorge spontanea una domanda: chi ha operato tale scelta? E’ pensabile che si sia trattato di una decisione autonoma dei vertici della Procura?
Difficile, visto che la Procura, in qualità di ufficio giudiziario inquirente, ha come primo compito istituzionale quello di prendere cognizione dei reati già commessi e di istruire le notizie di reato a lei trasmesse o presentate, ma sembra difficile che possa partire autonomamente alla ricerca di possibili e futuri reati, per poi calibrare e costruire su tale eventualità le proprie scelte organizzative.
Vi è stato forse un coinvolgimento dell’autorità amministrativa (di polizia) e politica, che si sono adoperate per segnalare l’importanza di contrastare anche sul piano giudiziario l’opposizione al Tav?
E in questo possibile coinvolgimento quanto hanno pesato i poteri forti, che da sempre sono stati capaci di influenzare le decisioni del potere politico sulle grandi opere pubbliche?
Sono stati serenamente a guardare o si sono a loro volta attivati?
Domande al momento senza risposta.
Però a pensare male, diceva quel tale, si fa peccato ma talvolta si indovina.


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