venerdì 24 marzo 2017

I randagi – Antonio Moresco

la storia di zio Demostene è una storia privata, familiare, e allo stesso tempo una storia che attraversa il Novecento, nella quale chiunque riconosce un bel pezzo.
la povertà contadina, la guerra, la resistenza, l'emigrazione, i parenti ritrovati, le lettere, i misteri familiari sono la sostanza del libro di Moresco e zio Demostene è il centro di gravità del racconto. 
e la ricerca delle sue tracce è anche la ricerca di un pezzo di se stessi.
buona lettura, allora.






Tutto nasce dalla foto segnaletica di un sovversivo di nome Moresco - per di più maledettamente somigliante all'autore di questo libro - ritrovata da un amico al Casellario Politico Centrale di Roma. Questa casuale scoperta è la miccia che accende la curiosità dello scrittore, lo spinge a esplorare il difficile passato della propria famiglia, a scoprire memorie scritte e vecchie fotografie, a svuotare scatole impolverate, a esaminare incartamenti dimenticati con ritrovamenti inattesi, a compiere un lungo viaggio per incontrare parenti finiti dall'altra parte del mondo. Ne viene fuori un romanzo per parole e immagini che, partendo da una piccola storia, si allarga sempre più fino a raccontare non solo la diaspora della propria famiglia, i destini di nonni, zii, genitori e cugini, di figli abbandonati alla nascita, di fratelli finiti in due campi opposti, di vagabondi e reduci di guerre e di rivoluzioni perdute, ma anche la diaspora di un intero mondo. "Brandelli dolorosi e ancora sanguinanti di vita che mi sono arrivati in mano all'improvviso, conservati nonostante tutto e passati di mano in mano attraverso il tempo e lo spazio dai membri di questa povera e tormentata famiglia come se fossero le memorie di una casata reale." Un viaggio dentro il pozzo segreto della propria famiglia che diventa a poco a poco anche un viaggio dell'autore dentro se stesso.

I randagi, libro strano e interessante. Nasce quasi per caso, da un amico che frugando fra gli schedari dell’epoca fascista, trova una foto segnaletica di un sovversivo di nome Demostene Moresco, zio di Antonio. Da qui parte, con l’ausilio di archivi familiari e la collaborazione di vari parenti, una ricostruzione delle vicende della famiglia Moresco per diverse generazioni. Non solo in varie zone d’Italia, ma anche dei parenti che, decisi ad emigrare in Australia, si ritrovano invece in Brasile semplicemente perché i posti per l’Australia erano finiti! Il tutto corredato da numerose foto e documenti che ne fanno quasi più un libro-documento che un romanzo. Se mi è consentito un paragone che vuole essere solo una traccia, in questo libro Moresco mi ha ricordato Sciascia per la meticolosità della documentazione e la puntigliosità della ricerca. E come in Sciascia naturalmente, le vicende della famiglia Moresco, che di per sé potrebbero interessare solo i loro parenti, diventano un mezzo per raccontare pezzi non banali di un secolo di storia d’Italia. E qui torniamo nella dimensione della letteratura e non più del documento storico, perché Moresco riesce a farlo con sensibilità e forza poetica…

(da un’intervista ad Antonio Moresco)
Walter Nardon
In Zio Demostene il racconto delle vicende dei suoi familiari è accompagnato da numerose fotografie, prese da vecchi album. Pur senza tradursi in una particolare strategia allusiva (penso a quello che accade nelle opere di W.G. Sebald), l’impiego delle foto nel racconto incide sull’architettura del libro. A questi referti e ai documenti d’archivio di un passato anagrafico, esteriore, si affianca infatti la narrazione di un passato quotidiano che è invece resistente, opaco, non documentabile. Mentre la narrazione illustra passo dopo passo molti episodi, le foto diventano progressivamente sempre più enigmatiche. Nel complesso, sembra che solo la letteratura, l’invenzione, possa testimoniare una scomparsa.
Antonio Moresco
Non solo l’impiego delle foto incide, ma è un vero corpo a corpo. Sono i morti che entrano direttamente nel libro con i loro volti impressi all'incontrario su una lastra fotografica o su una pellicola nel breve istante di luce dello scatto, mentre si trovavano in una prigione, in una caserma, in posa col vestito della festa, in un campo di prigionia, allineati di fronte a una povera casa di campagna... Ma irrompono anche i luoghi, le case, le ville poi diventate set cinematografici, il chiostro di un convento-orfanotrofio dove ho vissuto stralunato e traumatizzato durante la mia adolescenza... Se la fotografia è la morte, allora questo piccolo libro accoglie dentro di sé, da pari a pari, la morte. La scrittura è più asciutta, impietrita, tiene lo stomaco in dentro, perché deve inchinarsi e dare il passo alla morte. Se una cosa è davvero scomparsa, è scomparsa, e niente e nessuno la può più testimoniare. Se qualcuno la può testimoniare, allora vuole dire che non è veramente scomparsa. I fisici, gli astrofisici, stanno cercando di capire come sono fatte e di che cosa sono fatte la materia, la luce, la materia oscura e l’energia oscura... C’entra qualcosa tutto 3 questo con ciò che lega i corpi e le menti attraverso i cicli delle generazioni nel movimento immobile dello spaziotempo? I morti, impressi da un bagliore di luce sulle gelatine di qualche lastra fotografica o di qualche pellicola, mi ritornano di fronte irriducibili, opachi, come fantasmi. In questo piccolo libro emergono particolari della mia vita e tasselli che nei miei altri libri non vengono dati, come nei tre lunghi racconti di Clandestinità, negli Esordi... Là ci sono dei luoghi, delle figure, ma non viene data la relazione tra di essi che di solito siamo abituati a trovare in un libro, che “spiega” tutto e che non spiega niente. Ma che per molti sembra il senso stesso della narrazione e della possibile comunicazione di un’esperienza. Se li avessi dati, mi sarebbe sembrato di semplificare tutto, di mostrare solo il cerchio piccolo e non quello grande dove anche gli altri cerchi più piccoli sono compresi. Qualcuno avrebbe detto: “Ah, sì, adesso ho capito, questo è papà, quella è mammà, quell'altro è questo, quell'altra è quella...” Avrei perpetuato questo tipo di narrazione non più proporzionale con il giro della materia e del cosmo e con le sue orbite. Mi avrebbe anzi occluso l’orizzonte, mi sarei fermato alla prima, piccola porta. Non dando quelle piccole “informazioni” e quelle piccole “spiegazioni” ho immesso tutto quanto in uno spazio più ampio, dove fingiamo in modo consolatorio di non essere, ho riconosciuto la sua presenza e la sua esistenza. Il movimento di questo piccolo libro, dove compaiono direttamente i fantasmi e i morti, sembra invece diverso e opposto. Ma alla fine ci si trova di fronte a un’irriducibilità e a un enigma che fa franare tutto quello che abbiamo letto fino a quel momento. I fantasmi sono inquieti, si continuano a muovere, hanno sempre l’ultima parola, ti mostrano – stando dall'altra parte – quella prima, piccola porta da cui loro sono già usciti…

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