giovedì 16 febbraio 2017

Perché dovremmo ascoltare gli anarchici nell'epoca Trump - Nathan Schneider

(tradotto da “America Magazine | The Jesuit Review”: il fatto sorprendente – o no? – è che questo articolo sia uscito su una rivista dei gesuiti)


Fra i cambiamenti radicali che Donald Trump con l’inaugurazione della sua presidenza ha già introdotto a Washington, c’è l’incubo degli anarchici trasgressivi.
Venerdì sera Washington Post riportava sulla pagina iniziale del suo sito web «A meno di due miglia dalle cerimonie inaugurali, gli anarchici hanno marciato nelle strade cittadine frantumando i vetri delle fermate degli autobus, vandalizzando negozi e accendendo fuochi». Non si spiega in che modo il giornale abbia potuto accertare che i manifestanti fossero aderenti della filosofia politica anarchica, dato che responsabili di tali comportamenti sono stati a volte riconosciuti fascisti, tifosi di calcio e altri. (A credito del Post c’è almeno che se questi manifestanti sono gli stessi che hanno preso a pugni in faccia il nazionalista bianco Richard Spencer, ciò punta piuttosto chiaramente in direzione anarchica.)
Ma comunque la pensiate su questo pasticcio, o indipendentemente da chi accusiate a questo proposito, l’anarchia è una tradizione di pensiero e azione che di questi tempi faremmo bene a riconsiderare.
Tramite personaggi come William Godwin e Pierre Joseph Proudhon, l’anarchia ha radici comuni, risalenti al tardo Illuminismo, con il repubblicanesimo liberale. Per esempio, gli anarchici concordavano con i primi liberali come Locke che la gente è capace di ragionare e ha dignità di autogoverno; la differenza era che essi andarono oltre alla ricerca di autogoverno a ogni livello e in ogni aspetto della vita. Non è sufficiente un’occasionale urna elettorale. L’anarchia rifiuta ogni forma di coercizione, da parte di nazioni, corporazioni o di collegio elettorale. E’ scettica verso chiunque reclami autorità, come i moniti divini sui re nella Bibbia Ebraica e l’indifferenza di Gesù verso i poteri che pretendevano di governare la Palestina ai suoi tempi. Questa è l’anarchia che, per esempio, Dorothy Day ereditò e per cui visse.
In un giorno che ha visto l’ascesa di un uomo che promette di consegnare personalmente più armi, muri e ricchezza per alcuni, l’anarchia offre un’alternativa completa. Esige una politica che non inizi e termini con i politici.
Le proteste di venerdì gridavano dalle strade questo messaggio – ripeto, indipendentemente da come la pensiate sui danneggiamenti alle proprietà. Intendevano distogliere la nostra attenzione dallo spettacolo presidenziale, affermare che c’è bisogno di ascoltare voci diverse da quelle che declamano dai gradini del Campidoglio per drammatizzare i pericoli che prevedono.
Le donne e i loro sostenitori hanno marciato sabato a Washington e attraverso il Paese. Sono state criticate – come innumerevoli altre dimostrazioni storiche – per carenza di un messaggio sufficientemente chiaro e organizzato. In qualche modo non basta che lo stessero facendo per sé stesse e l’una per l’altra.
Un’altra versione di questa alternativa comparve anche nel populismo del tardo secolo diciannovesimo, un’altra epoca in cui i campagnoli americani insorsero contro le élite urbane. Ma ai tempi la sollevazione trovò l’appoggio principale nelle cooperative agricole e nei sindacati – organizzazioni di lavoratori che lavoravano per corrispondere ai propri bisogni. Grandi uomini come William Jennings Bryan tentarono di approfittarne per scalare il potere ma per lo più fallirono. Tuttavia, in pochi decenni, le richieste dei populisti andarono oltre – concetti allora radicali come la fornitura flessibile di denaro, il suffragio femminile e la tassazione progressiva sui redditi.
Nell’ultimo paio d’anni siamo vissuti in un teatro dell’assurdo – sottoposti impietosamente a ogni ultimissimo pronunciamento, e relativo affannoso commento, di uno dei deliranti egoisti che si candidavano per la presidenza degli Stati Uniti. Questo reality televisivo è proseguito troppo a lungo, monopolizzando la nostra attenzione. Abbiamo sviluppato una dipendenza dai politici come salvatori, animatori che avviano o arrestano il discorso, mimi.
Se qualcosa unisce i populisti emergenti in entrambi i partiti maggiori – nel nome di Bernie Sanders a sinistra e di Trump a destra – è un sentimento di impotenza. I loro sostenitori concordano, per esempio, che i vasti patti di commercio internazionale hanno assoggettato le loro vite e il loro sostentamento a forze fuori dal loro controllo. Fabbriche chiudono senza fornire spiegazioni e senza obblighi di responsabilità verso le comunità che da loro dipendono; si ritiene che l’economia sia in ripresa, ma molti di noi vivono ancora, se va bene, mese per mese. E chi comanda non sembra curarsi di chi non può permettersi i lobbisti.
Un modo di trattare questa alienazione cronica è far sorgere ed eleggere un outsider politico che descriva il mondo come un’orribile distopia dalla quale solo lui ci può salvare. Ma ci sono anche altri modi.
Nonostante le caricature di caos stile black-bloc, la maggior parte della tradizione anarchica ha cercato che la gente si organizzasse al meglio nella vita quotidiana, al lavoro, dove si vive, e nel come gestire i contrasti. Questo tipo di potere emana dal basso ed è condiviso. Gli anarchici aspirano a un mondo in cui i Donald Trump possono strillare quel che vogliono ma nessuno sente il bisogno di aggregarsi a loro. La democrazia reale, quotidiana, non lascia molto spazio a cotanta grandezza.
da qui

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