domenica 12 febbraio 2017

L' uomo di Kiev - Bernard Malamud

un giorno un operaio di nome Yakov Bok viene arrestato e mandato in prigione, di quelle senza troppi agi, come il riscaldamento, la pulizia, un letto decente.
la sua vita ha un prima e un dopo.
prima vive in un piccolo villaggio, abbandonato dalla moglie, e sopravvive; dopo si è spostato in città, sempre precario, ma ha un colpo di fortuna, trova un lavoro e vive un po' meglio.
fino a che viene accusato di un omicidio mai commesso.
e, come K., entra in un circolo infernale, fatto di torture, lusinghe, accuse, ancora accuse, incontrando magistrati, carcerieri, compagni di cella, insetti, ferite, freddo, catene, tra l'altro, la via crucis almeno aveva il pregio di essere breve.
dopo la pubblicazione del libro Bernard Malamud fu accusato di aver copiato la vera storia di Menahem Mendel Beilis, forse gli eredi speravano di fare un po' di soldi.
Yakov Bok è un uomo testardo, come lo era Michael Kohlhaas, gente con un'idea alta di giustizia, senza patteggiamenti.
il romanzo è davvero straordinario, tutti i personaggi sono vivi, e non si dimenticano facilmente.








…Tra i grandi scrittori ebrei americani del Novecento – Saul Bellow, Philip Roth e così via – Malamud, vincitore di due National Book Award e di un Pulitzer, occupa, incredibilmente, la posizione più defilata. Dev’essere perché le sue storie non hanno niente, o quasi, di rassicurante… Spesso i suoi protagonisti sono vittime di un destino disgraziato, da cui non riescono a liberarsi. Questa cosa è detta in modo chiaro nel Commesso, altro romanzo di Malamud, quando lo scrittore si riferisce a uno dei suoi protagonisti – anche lui ebreo: “Era Morris Bober e non poteva avere una sorte migliore“. E nell’Uomo di Kiev: “Yakov aveva paura che in prigione gli sarebbe andata male, e gli andò male fin dal primo momento“.
Ancora, se lo stile di Bellow e Roth risplende di una luce scintillante, una prosa ricca e piena, a volte persino opulenta, lo stile di Malamud è più… misterioso, complicato, difficile da spiegare. Il che è strano, perché Malamud scrive frasi dalla struttura e dal lessico accessibili, senza fronzoli, si direbbe. Gli incipit dei suoi racconti sembrano attacchi di un pezzo di cronaca nera…

…Come in un romanzo di Dostoevskij, il corpo dell’aggiustatutto precipita ad un livello di umanità sempre più basso, mentre il suo spirito ascende a una grazia chiarificante e insostenibile. Le torture e le malattie agiscono per sottrazione su di lui, ripulendolo dal superfluo del mondo e donandogli, in cambio, la capacità di accettare il suo destino – che è il destino di tutti gli ebrei. “Vey is mir”, povero me, è la frase con cui appare sulla prima pagina, e in quelle tre parole yiddish si nascondono passato, presente e futuro della sua stirpe.
Nel corso del romanzo l’immedesimazione si fa più violenta e partecipata, ma le pagine finiscono senza che davvero si sappia cosa succeda al povero Yakov Bok: è questo un ulteriore dono di Malamud, che ci fa dimenticare l’importanza del finale, lasciandoci sospesi e tramortiti ma, a suo modo, purificati…

L’uomo di Kiev (del 1966, ora edito da minimum fax, pag. 405, euro 14,50) si rifà a una storia vera, la vicenda di Mendel Beilis, ebreo ucraino ingiustamente accusato di aver ucciso un bambino cristiano. Narrando questa storia, Malamud mostra quanto il suo Yakov non sia solo l’incarnazione di Mendel Belis, ma quanto entrambi abbiano in comune col Giobbe biblico (figura cara alla letteratura di Malamud, come ricorda Alessandro Piperno nella prefazione: «La storia che racconta Malamud è sempre la stessa: quella di Giobbe»). Per circa trecento pagine il lettore è in cella con Yakov, le stagioni ruotano oltre le sbarre. All’accusa di aver ucciso un bambino per compiere col suo sangue riti ebraici, si sommano nuove bugie, calunnie che riguardano violenze sessuali, furti, leggende di ogni genere legate al suo ebraismo (fuori dalla prigione, si prepara un nuovo pogrom). Per Malamud, la questione è: «Come può un uomo difendersi da insinuazioni, allusioni, accuse così spaventose, se nessuno è disposto a credergli?».
Nella mentalità di chi si nutre di complotti, la realtà è intangibile, gli indizi sfuggono, le prove si rovesciano, solo le insinuazioni sono concrete. L’unica risposta alle accuse è ribadire all’infinito l’evidenza: «La marmellata non è sangue. Il sangue non è marmellata!». Se Malamud non fosse un grande scrittore – uno cioè che ha scritto romanzi perfetti come Il commessoUna nuova vitaIl migliore – il lettore patirebbe la stessa claustrofobia e il tedio di Yakov. Malamud invece riesce nel miracolo di lasciare un personaggio incatenato e immobile («le mani gli dolevano per l’inerzia») e tenere attivo e libero il lettore…




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