mercoledì 14 dicembre 2016

La scuola di guerra

Qualche Cassandra ricorda che scuola e armi non possono stare insieme, mai.
ecco qualche articolo interessante, sui signori della guerra che dicono, giocando e scherzando: “lasciate che i bambini vengano a me”.

Gita in caserma, i bambini giocano a sparare. La protesta di un papà – Silvia Manzani
“Ma cosa vuoi che sia”, “alla fine i bambini si sono divertiti”. Franco Ferrario se li ricorda ancora i commenti dei genitori dei compagni di scuola di suo figlio. E ancora oggi si sente criticare per aver voluto gettare fango sull’istituto, mettendo in difficoltà anche il suo bambino. Lui, però, resta convinto che la gita che durante lo scorso anno scolastico ha portato gli alunni dalla prima alla quinta della primaria di Rocca San Casciano alla Caserma “De Gennaro” di Forlì sia un non senso: diseducativa e fuori luogo.
E per questo ha lanciato una petizione on-line per chiedere ai ministeri della Difesa e dell’Istruzione che nella scuola vengano promossi percorsi didattici di educazione alla pace e di risoluzione non violenta dei conflitti e sia condannata ogni iniziativa che coinvolga i bambini nell’uso delle armi. Quest’ultimo, infatti, è il motivo che ha fatto più arrabbiare Ferrario: “Quando ho saputo che i compagni di mio figlio, che l’anno scorso frequentava la quarta, sarebbero andati a visitare la caserma, ho deciso di tenerlo a casa. Ma la mia opposizione sarebbe finita lì se non avessi scoperto, una volta fatta la gita, che agli alunni sono state messe in mano delle armi a pallini per cimentarsi in una sorta di tiro al bersaglio”.
Il papà ha chiesto spiegazioni alla dirigenza della scuola, anche grazie al consiglio d’istituto nel quale è stato eletto. E ha scoperto che nemmeno gli insegnanti sapevano che i bambini avrebbero giocato a sparare: “La gita è stata offerta da un militare che vive in zona e la scuola, per non opporsi, ha semplicemente aderito. Non ho nulla contro il fatto che i bambini, tra di loro, giochino alla guerra. Ma che vengano condotti appositamente in una caserma e che chi fa la guerra di mestiere metta loro tra le mani un’arma è quanto di più anti-pedagogico ci sia”. Per Ferrario la scuola avrebbe potuto cogliere l’occasione dell’invito in caserma per rifiutare e discutere in classe di soldi pubblici e tasse: “I soldi per le attività dell’esercito li paghiamo noi genitori attraverso le tasse: questo si sarebbe potuto raccontare ai bambini. Invece si è posto l’accento sul fatto che la gita fosse gratis e non ci si è preoccupati minimamente del contenuto della visita”.
Il caso è diventato oggetto di un’interrogazione parlamentare del deputato Sel Giovanni Paglia. Alla quale il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha replicato con parole che non sono affatto piaciute al papà di Rocca San Casciano: “La risposta è stata che i genitori erano stati messi al corrente di ciò che i bambini sarebbero andati a fare in caserma. Cosa assolutamente non vera. Che lascia ancora di più l’amaro in bocca”.
Qui il link alla petizione


Ma che ‘Bellica Scuola’ – Ermete Ferraro

In questi ultimi anni abbiamo sentito parlare continuamente della Buona Scuola”, l’autocelebrativa etichetta che il governo Renzi ha voluto apporre sulla sua riforma dell’istruzione in Italia. Ovviamente non tutti fra i docenti e gli stessi dirigenti scolastici hanno condiviso questa enfatica definizione e, soprattutto, una volta passata la sbronza delle slide e della propaganda, tale ‘rivoluzione’ educativa sta ormai mostrando i propri limiti. A cambiare la scuola italiana ci avevano già provato in tanti, con risultati generalmente poco apprezzabili, ma è evidente che l’attuale Premier ha voluto imprimere un’impronta più decisa e decisionista sulla sua riforma, utilizzando l’aggettivo “buona” come segnale d’un cambiamento epocale. In proposito, infatti, le frasi retoriche si sprecavano, a partire dall’introduzione al documento [i] , dove si parlava di: “soluzione strutturale alla disoccupazione”; “meccanismo permanente d’innovazione, sviluppo e qualità della democrazia”; “investimento di tutto il paese su se stesso”; “Un Paese intero… deciso a mettersi in cammino”. La proposta proseguiva con altre affermazioni fiere e combattive, tipo: “Il rischio più grande, oggi, è continuare a pensare in piccolo, a restare sui sentieri battuti degli ultimi decenni”; “Ci serve il coraggio di ripensare come motivare e rendere orgogliosi coloro che, ogni giorno, dentro una scuola, aiutano i nostri ragazzi a crescere”; “Siamo pronti a scommettere su di voi. A farvi entrare nella partita a pieno titolo, e a farvi entrare subito. Ma a un patto: che da domani ci aiutiate a trasformare la scuola, con coraggio. Insieme alle famiglie, insieme ai ragazzi, insieme ai colleghi e ai dirigenti scolastici”; “Possibilità di schierare la “squadra” con cui giocare la partita dell’istruzione”.  Si avverte in sottofondo una tonalità del linguaggio impostata alla sfida, che adopera parole come “coraggio” e “scommessa” per lanciare un appello ad una “trasformazione” che richiede un ‘gioco di squadra’, lasciando intendere fra le righe che forze oscure, retrograde e conservatrici congiurino invece per lasciare la scuola così com’è.
La riforma renziana, insomma, si è posta come una mobilitazione generale per fare della scuola “l’avanguardia, non la retrovia del Paese”sostenendo che essa “deve diventare poi la vera risposta strutturale alla disoccupazione giovanile, e l’avamposto del rilancio del Made in Italy.”  Avanguardia, retrovia, avamposto: un orecchio attento non può fare a meno di cogliere dietro tali parole il tono vagamente marziale di chi ha inteso lanciare una vera e propria ‘campagna’ contro immobilismo e burocrazia, facendo della scuola il terreno d’un cambiamento epocale. A distanza di due anni, però, di questa sedicente rivoluzione educativa non sembra sia rimasto molto. L’enfasi sulla ‘autonomia’ scolastica, semmai, si è paradossalmente trasformata in un ulteriore stimolo al conformismo ed all’appiattimento della didattica, grazie ad un’omologazione delle priorità formative, ad esempio attraverso la pedissequa adesione a format educativi d’importazione. Penso, ad esempio, alla stucchevole retorica sulla “scuola digitale” – sulla quale mi sono soffermato in un precedente articolo [ii] – ma anche all’insistenza su concetti come qualità, valutazione e merito, cui finora non mi pare che sia corrisposto altro che un indecoroso inseguimento delle direttive di vertice, aumentando il già fin troppo ampio progettificio scolastico anziché qualificare la didattica curricolare e valorizzare l’impegno ordinario dei docenti. Penso anche alla speciosa retorica sull’aggiornamento degli insegnanti – chiamato pomposamente ‘formazione continua obbligatoria’ – puntando ancora una volta sulla parola magica ‘innovazione’, resa sinonimo delle c.d. “nuove alfabetizzazioni”, sintetizzabili in una dose massiccia di impronunciabili “competenze digitali”nell’impulso allo studio dei principi dell’economia nelle scuole secondarie ed in un’ulteriore enfasi sull’apprendimento delle lingue straniere (leggi: inglese). [iii]  In filigrana, dalla epocale riforma renziana sembrerebbe dunque affiorare più che altro l’immagine di una scuola-azienda, resa sempre più conforme ad un ben preciso modello di sviluppo e di cambiamento sociale ed alla cultura dominante, fondata sulla legge del mercato, sulla globalizzazione e su pericolose ‘monoculture della mente’.
2.                  “E ritornammo a riveder…le stellette”
Va anche considerato un altro insidioso aspetto – meno affrontato e discusso – della “buona scuola” propugnata dall’attuale governo: l’introduzione nel percorso educativo del modello militare. In effetti non è una caratterizzazione del tutto nuova, visto che anche esecutivi precedenti hanno cercato d’inserire, più o meno surrettiziamente, la ‘cultura’ militare all’interno della programmazione didattica. Fatto sta che nel 2014 questo processo è culminato nel Protocollo d’Intesa sottoscritto da MIUR e Min. Difesa, nel quale si sancisce il discutibile principio secondo il quale nella scuola c’è bisogno di attivare:
 “…un focus sulla funzione centrale che Ia ‘Cultura della Difesa’ ha svolto, e continua a svolgere, a favore della crescita sociale, politica, economica e democratica del Paese”, per cui si propone la: “…ricerca [di] soluzioni comunicative interattive espressamente rivolte alle nuove generazioni, per affermare Ia conoscenza e il ruolo della Difesa al servizio della collettivitàe divulgare le opportunità professionali e di studio riservate alle fasce giovanili di riferimento ” [iv].
Questa rinnovata intesa tra “libro e moschetto” – paradossalmente presentata come attuazione dei nostri principi costituzionali e di quelli ispiratori dell’ONU – ha così ufficializzato una collaborazione ‘formativa’ interministeriale, sulle cui reali motivazioni mi sembra giusto ed opportuno interrogarsi.
«Lezioni di Costituzione affidate a generali e ammiragli, concorsi spaziali con tanto di premi offerti dalle aziende produttrici di sistemi di morte, seminari e conferenze sulle missioni “umanitarie” delle forze armate italiane in Afghanistan, Iraq, Somalia, Libano e nei Balcani. La buona scuola dell’era Renzi sarà sempre più militare e militarizzata, riserva di caccia del complesso militare-industriale-finanziario e megafono dei pedagogisti-strateghi della guerra globale. Dopo il Protocollo d’Intesa sottoscritto nel settembre 2014 dalle ministre Stefania Giannini e Roberta Pinotti, il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica (MIUR) e quello della Difesa varano una serie di iniziative “didattiche e formative” per gli studenti delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, statali e paritarie, con lo scopo di “favorire l’approfondimento della Costituzione italiana e dei principi della Dichiarazione universale dei diritti umani per educare gli alunni all’esercizio della democrazia e favorire l’acquisizione delle conoscenze e lo sviluppo delle competenze relative per l’esercizio di una cittadinanza attiva a tutti i livelli del sistema sociale ». [v]
In una recente circolare del MIUR si rilanciano infatti le iniziative sponsorizzate dal Ministero della Difesa, consigliando alle istituzioni scolastiche di:
“trarre stimoli e risorse utili per la loro progettazione didattica. Questi progetti ci permettono di costruire relazioni positive con i ragazzi  […] contribuendo ad arricchirne la crescita personale e a far conoscere loro l’importanza della memoria storica”. [vi]
Di cosa si tratta? Basta consultare l’apposita sezione del sito del MIUR [vii], come consiglia la circolare, per prendere conoscenza di concorsi e conferenze che fanno parte di questo ‘pacchetto’ grigio-verde.  Si va dalla classica proposta pseudo-storica su “Caporetto: oltre la sconfitta” a quella meno spiegabile sullo “Articolo 9 della Costituzione” dedicato allo “sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” e alla “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.” Si lanciano poi conferenze nelle scuole – svolte da personale militare affiancato da non meglio identificati ‘testimonial’ – sulla Costituzione e la cittadinanza attiva, precisando poi:
con particolare attenzione al ruolo che le Forze Armate svolgono al servizio della crescita sociale, politica, economica e democratica del Paese. Quest’anno il focus sarà sulla Grande Guerra e sull’anniversario della sconfitta di Caporetto, con particolare riguardo all’attività sportiva militare e al settore paralimpico.” .
I nostri beneamati formatori militari, però, non rinunciano ad avventurarsi in altri campi, non proprio di loro competenza, come quello dell’educazione stradale (“La buona strada della sicurezza”) e perfino in quello aero-spaziale, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (“Scuola: spazio al tuo futuro”).  Insomma, le martellante proposta inter-ministeriale  – megafonata attraverso i vari Uffici Scolastici Regionali alle singole scuole presenti nei rispettivi territori – ufficializza de facto una nuova figura, quella del militare-formatore, che dovrebbe venire a darci lezioni di storia contemporanea, ad esaltare i valori costituzionali, a richiamarci al rispetto del codice della strada e perfino a farci sognare avveniristiche esplorazioni spaziali… E c’è perfino un divertente (si fa per dire) concorso in cui il Ministero della Difesa esalta il ruolo delle Nazioni Unite nella salvaguardia della pace nel mondo…
3.                  Pure questo ce lo chiede l’Europa?
In effetti, leggendo il protocollo stipulato da MIUR e MinDif non si ha la sensazione che si tratti di una campagna d’indottrinamento militare, ma d’una normale collaborazione fra istituzioni nella formazione alla cittadinanza civile dei nostri ragazzi. Bisogna allora cominciare a porsi qualche domanda. Perché mai ad insegnare i principi-base della Costituzione repubblicana dovrebbero essere proprio dei militari? Che cavolo c’entra il Ministero della Difesa con l’educazione stradale? Per quale strano motivo a sensibilizzare gli studenti alla tutela del patrimonio paesaggistico, storico ed artistico sono reclutati degli istruttori con le stellette? Siamo sicuri che i nostri militari non abbiano niente di meglio da fare che giri di ‘conferenze’ sul rispetto dei limiti di velocità e dell’ambiente naturale del nostro Paese?  Ovviamente si tratta solo di dare una legittimazione ufficiale, di facciata, ad un’operazione propagandistica molto più subdola e pericolosache da anni ospita le mimetiche’ dentro le scuole e le scuole dentro caserme, basi militari e industrie belliche.
«Un tassello importante di questa campagna per la creazione di consenso verso l’apparato militare è la scuola. La ‘buona scuola’ non ha solo ‘riformato’ la scuola in senso ancora più autoritario e repressivo […] Essa sta via via trasformando la scuola nella fabbrica del consenso alla politica di aggressione dell’Italia nel bacino privilegiato in cui attingere le indispensabili nuove e professionali leve per la struttura militare sempre più impegnata sui fronti di guerra. […] Con il Protocollo d’Intesa del settembre 2014 tra le ministre Stefania Giannini e Roberta Pinotti e la circolare del 15 dicembre 2015, sono state avviate iniziative “didattiche e formative” per “diffondere la cultura della Difesa” e sponsorizzare il “ruolo delle Forze Armate italiane in missioni di pace nelle aree di crisi, nella promozione e salvaguardia della stabilità e della pacifica convivenza internazionale” tra gli studenti di ogni ordine e grado, statali e paritarie. […] Secondo i dati forniti dal ministero della Difesa, sino all’inizio di quest’anno sono stati realizzati negli istituti italiani oltre 3.100 dibattiti con la partecipazione di circa 254.000 studenti. Nel frattempo si sono moltiplicate in tutta Italia le visite guidate di intere scolaresche a caserme, aeroporti e porti militari, installazioni radar, poligoni e industrie belliche, durante le quali gli studenti (persino bambini dell’elementari come accaduto nella caserma De Gennaro di Forlì) possono provare “l’entusiamante” esperienza di sparare con un fucile o effettuare un’attività di familiarizzazione al volo su velivoli come l’Atlantic del 41° Stormo di Sigonella». [viii]
Più che alla ‘buona scuola’ si direbbe che siamo di fronte ad una bellica scuola’, che coglie ogni occasione (anche la più contraddittoria come quella della promozione della pace nel mondo o del rispetto dei valori dell’unica repubblica che ‘ripudia la guerra’ …) per far irrompere le ‘teste di cuoio’ della Difesa all’interno non solo dei nostri istituti secondari, ma perfino fra le scolaresche delle classi elementari. Non si tratta certamente delle campagne militariste svolte nelle scuole statunitensi dall’onnipotente Pentagono – che fra l’altro che gestisce anche numerose scuole proprie, rivolte ai figli dei propri ‘dipendenti’ all’estero [ix] . Fortunatamente non si tratta neanche del programma di istruzione stile militare promossa dal governo britannico, improntato al principio che la disciplina da caserma faccia particolarmente bene agli scolari del Regno Unito.
« Resistenza alla fatica, capacità di reagire alle difficoltà, gestione dello stress. Tre requisiti fondamentali per ogni soldato che voglia sopravvivere, ma forse anche tre elementi essenziali per ogni bambino destinato ad affrontare le sfide della crescita e dell’età adulta. Tanto che in Gran Bretagna il governo ha deciso di assegnare a programmi di stile militare un terzo dei fondi stanziati all’interno del piano nazionale promosso a favore del rafforzamento del carattere degli studenti. Per il nuovo anno saranno due milioni di sterline su sei, destinati a rendere realtà progetti che dovrebbero sviluppare nei giovani resilienza, ordine, disciplina e capacità di lavorare in gruppo negli alunni tra i 6 e i 18 anni. […] Come quello chiamato Commando Joe, promosso da ex militari, che vanno nelle scuole determinati ad «inquadrare» i bambini e i ragazzi, in modo da prepararli ad un futuro di efficienza. Durante le lezioni i docenti, che arrivano in classe in tuta mimetica, invitano i ragazzi a condividere scelte strategiche, li sottopongono ad allenamenti fisici tra corsa e flessioni, li invitano a smussare le tensioni in modo da ritrovare uno spirito di gruppo. Nelle scuole che hanno abbracciato questa filosofia militaresca sono stati raggiunti risultati interessanti, tanto che appunto il ministero per i bambini e le famiglie, guidato da Edward Timpson, ha deciso di assegnare un terzo dei fondi a sua disposizioni alle proposte che ricordano l’approccio della Raf e dei soldati al fronte. Anche se qualche voce si oppone a questa tendenza….» [x]
Niente a che fare, per fortuna, con l’addestramento vistosamente paramilitare promosso nelle scuole della Federazione Russa dal premier Putin, come apprendiamo da una corrispondente del TIME che:
 «…ha trovato una classe di studenti – alcuni undicenni – che imparavano ad assemblare e caricare fucili d’assalto Kalashnikov. Fuori, nel cortile scolastico, una lezione sulla sicurezza si focalizzava sull’uso idoneo delle tute contro i rischi biologici, in caso di disastro nucleare o chimico […] Vladimir Putin ha recentemente fatto di questo curriculum una norma per l’intera nazione, offrendo agli adolescenti una gamma d’istruzione in ideologia, religione e preparazione alla guerra» [xi]
4.                  Difendere le scuole…dalla Difesa
Niente del genere, almeno fino ad ora… Quel che è certo, comunque, è che la nuova ondata di educazione in stile “Libro e moschetto” (o, se preferite, “E-book e Kalashnikov”…) sta rapidamente diffondendosi nelle altre istituzioni educative europee. In Francia, ad esempio, il Ministero dell’Educazione Nazionale, dell’Insegnamento Superiore e della Ricerca  ha avviato da tempo programmi di esplicita educazione alla difesa”, a partire dal protocollo Educazione-Difesa siglato nel 2007.
«La cultura della difesa e della sicurezza nazionale è inserita nel fondamento comune delle conoscenze e delle competenze che gli allievi devono conseguire  nel loro percorso nella scuola primaria ed in quella secondaria di primo e secondo grado […] L’insegnamento della difesa e della sicurezza nazionale si articola intorno a diverse questioni trasversali: la difesa militare, la difesa globale, i rischi e le nuove minacce, i progressi della difesa europea, la sicurezza nazionale. Non si tratta di una disciplina a sé stante. Essa è inserita nei programmi di più insegnamenti: educazione morale e civica, storia, geografia ecc.» [xii]
In Italia i nostri governanti l’hanno presa più alla lontana, ma l’indirizzo sembra sempre lo stesso: introdurre l’educazione alla difesa nel curricolo scolastico, affiancandola a discipline – come la storia o l’educazione alla convivenza civile – che , se ben svolte, dovrebbero viceversa costituire il miglior antidoto ad ogni forma di militarismo e bellicismo. Ecco perché da un’organizzazione pacifista di matrice cattolica come Pax Christi, già da alcuni anni è stato lanciato un programma di ‘smilitarizzazione delle scuole’, i cui principi sono esplicitati nel Manifesto dal significativo titolo “La Scuola ripudia la guerra”. In basa a questo documento, le scuole che lo hanno sottoscritto e che lo sottoscriveranno, s’impegnano a:
« 1. Rafforzare l’impegno nell’educazione alla pace e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti; 2. Sottolineare e valorizzare l’educazione alla pace tra le finalità educative dei POF, nelle discipline educative e didattiche e nella programmazione. 3. Proporre uno spazio di confronto tra docenti per evidenziare l’incidenza dell’educazione alla pace nella formazione degli studenti; 4. Prevedere un intervento educativo per gli studenti al fine di rendere più esplicita la scelta di non educare alla violenza e alla guerra; 5. Escludere dalle propria proposta formativa le attività proposte dalle Forze Armate, in contrasto con gli orientamenti fondamentali educativi e didattici della scuola; 6. Non esporre manifesti pubblicitari delle FFAA né accogliere iniziative finalizzate a propagandare l’arruolamento e a far sperimentare la vita militare. 7. Non organizzare visite che comportino l’accesso degli alunni a caserme, poligoni di tiro, portaerei e ogni altra struttura riferibile all’attività di guerra, anche nei casi in cui questa attività venga presentata con l’ambigua espressione di “missione di pace”. 8. Non accogliere progetti in partenariato con strutture militari o aziende coinvolte nella produzione di materiali bellici. 9. Prevedere la possibilità di arricchire la biblioteca di nuovi strumenti didattici per l’educazione alla pace e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti. 10. Affiggere all’ingresso dell’Istituto il logo della campagna, affinché sia pubblicamente manifesta la scelta di lavorare in una scuola che educa alla nonviolenza e non alla guerra.» [xiii]
Ebbene sì: dobbiamo difendere il sistema scolastico italiano dall’ingerenza di un sistema militare-industriale che è lo stesso che alimenta la “guerra mondiale a pezzi” denunciata dal Papa e che minaccia la stessa convivenza civile e democratica. Ci siamo purtroppo già abituanti ai soldati in mimetica e mitra fuori ai tribunali ed alle autoblindo nelle piazze, come ho denunciato nel precedente articolo “Cittadini sotto assedio”.[xiv]Il rischio è che ora ci abituiamo passivamente anche alla presenza di militari in uniforme nelle scuole ed a bambini in grembiule nelle caserme. E’ arrivato il momento di reagire e di contrapporre valori alternativi e programmi di educazione alla pace e per la pace[xv]


La Buona Scuola prepara i giovani alla guerra – Rete campana contro la guerra ed il militarismo

…A dispetto, quindi, della propaganda renziana sulla cooperazione civile e la “inclusione attraverso la cultura”, l’Italia, con i suoi oltre 7000 militari impegnati nelle missioni internazionali, è oggi uno dei Paesi al mondo più attivi sul fronte della guerra e della militarizzazione. La presenza delle forze armate italiane negli scenari più sensibili degli approvvigionamenti strategici e delle risorse energetiche mostra chiaramente il carattere imperialistico di questa proiezione internazionale, che nulla ha di difensivo né, tanto meno, di “umanitario”.
L’utilizzo strumentale della lotta al terrorismo, la paura diffusa a piene mani nei confronti del “pericolo islamico”, le campagne razziste e xenofobe contro gli immigrati, sono parte della macchina di propaganda finalizzata ad ottenere il consenso a questa politica di aggressione ed al militarismo crescente e ad arginare e criminalizzare qualsiasi opposizione.
Un tassello importante di questa campagna per la creazione di consenso verso l’apparato militare è la scuola.
La “buona scuola” non ha solo “riformato” la scuola in senso ancora più autoritario e repressivo; non è solamente lo strumento con cui si è imposto il peggioramento delle condizioni di lavoro dei docenti e degli altri lavoratori dell’istruzione; non è soltanto il processo di definitivo asservimento alle esigenze delle imprese grazie all’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro. Essa sta via via trasformando la scuola nella fabbrica del consenso alla politica di aggressione dell’Italia e nel bacino privilegiato in cui attingere le indispensabili nuove e professionali leve per la struttura militare sempre più impegnata sui fronti di guerra.
Quindi, mentre da un lato, con l’alternanza scuola-lavoro, spacciata come esperienza formativa, si obbligano i giovani al lavoro gratuito “educandoli” e preparandoli da subito alla piena accettazione di un futuro fatto di precarietà e bassi salari, dall’altro con incontri e conferenze con membri dell’esercito, stage e concorsi in collaborazione con le forze armate e le industrie belliche, si inducono i giovani a guardare all’esercito come un posto e un reddito sicuro, come il portatore di civiltà e democrazia nel mondo ed alla guerra come male necessario.
Con il Protocollo d’Intesa del settembre 2014 tra le ministre Stefania Giannini e Roberta Pinotti e la circolare del 15 dicembre 2015, sono state avviate iniziative “didattiche e formative” per “diffondere la cultura della Difesa” e sponsorizzare il “ruolo delle Forze Armate italiane in missioni di pace nelle aree di crisi, nella promozione e salvaguardia della stabilità e della pacifica convivenza internazionale” tra gli studenti di ogni ordine e grado, statali e paritarie. Che si tratti di legalità o di sicurezza stradale, del centenario della Prima guerra mondiale o del 70° anno dalla costituzione dell’ONU, di bullismo e cyberbullismo, ad entrare nelle scuole sono ormai solo gli “esperti” con le stellette. Gli stage e la stessa alternanza scuola-lavoro vengono indirizzati presso i colossi militari-industriali che realizzano bombardieri, elicotteri, missili e i mille altri sistemi di distruzione e di morte.
Secondo i dati forniti dal ministero della Difesa, sino all’inizio di quest’anno sono stati realizzati negli istituti italiani oltre 3.100 dibattiti con la partecipazione di circa 254.000 studenti. Nel frattempo si sono moltiplicate in tutta Italia le visite guidate di intere scolaresche a caserme, aeroporti e porti militari, installazioni radar, poligoni e industrie belliche, durante le quali gli studenti (persino bambini dell’elementari come accaduto nella caserma De Gennaro di Forlì) possono provare “l’entusiamante” esperienza di sparare con un fucile o effettuare un’attività di familiarizzazione al volo su velivoli come l’Atlantic del 41° Stormo di Sigonella.
Ai musei, alle gallerie come ai siti archeologici o ai parchi, i presidi, tutori dell’ordine della buona scuola, preferiscono questi luoghi di sopraffazione contribuendo di fatto a promuovere le forze armate ed il loro operato. Una cosa che ci riguarda direttamente visto che la base NATO di Lago Patria, uno dei principali centri di comando delle operazioni belliche passate e presenti, è ormai un luogo di pellegrinaggio per tante scuole campane. Solo tra febbraio e aprile di quest’anno, secondo lo stesso Allied Joint Force Command Naples, sono stati 510 gli studenti che l’hanno visitata insieme a decine di insegnanti. La buona scuola di Renzi è, quindi, lo strumento di rafforzamento delle logiche di guerra e degli interessi politico-militari dell’Italia. Con il crescere delle tensioni internazionali e dell’impegno dell’esercito italiano nelle missioni di guerra anche la scuola sarà sempre più militare e militarizzata…


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