mercoledì 23 novembre 2016

le idee di Antonio Gramsci sul futurismo

Antonio Gramsci, in un articolo su "Ordine Nuovo" del 5 gennaio 1921, intitolato “Marinetti il Rivoluzionario?" riferiva  che il compagno Lunaciarskij, ministro della cultura sovietico, aveva dichiarato ufficialmente, in un discorso ufficiale alla delegazione italiana (pronunciato in perfetto italiano, il che escludeva ogni incomprensione linguistica), che in Italia l'unico intellettuale rivoluzionario era Filippo Tommaso Marinetti. Gramsci ironizzava sullo scandalo che una tale dichiarazione avrebbe fatto scandalo tra i "filistei del movimento operaio", e che alla loro lista abituale d'insulti nei confronti dei compagni deviazionisti (bergsoniano, pragmatista, volontarista, spiritualista), si sarebbero ormai aggiunti anche quelli, più sanguinosi ancora, di futurista e marinettista. Lo stesso Gramsci del resto ricordò, anche in una lettera a Trotzky,  che a Torino e a Milano il futurismo era stato popolare tra i lavoratori, (la rivista "Lacerba", a prezzi ridotti, vendette 4/5 delle sue copie tra gli operai). 
Nell'articolo su "Ordine Nuovo", Gramsci sostiene che il futurismo è stato  veramente rivoluzionario nella sua distruzione dei capisaldi della cultura borghese. Rivoluzionario Marinetti è stato non sul terreno economico, ma su quello culturale,  distruggendo gerarchie di valori spirituali, pregiudizi, idoli, tradizioni irrigidite, e per ciò stesso spianando la strada alla rivoluzione operaia che avrebbe attaccato la struttura materiale.  Distruggere "significa non aver paura di ciò che è nuovo e audace, non essere terrorizzato dai mostri, non credere che caschi il mondo se un operaio fa un errore di grammatica, se una poesia zoppica, se un quadro sembra una bandiera, se i giovani arricciano il naso di fronte alla senilità accademica". E, nel distruggere,  i futuristi "hanno avuto fiducia in se stessi, nella foga delle energie giovani, hanno avuto la concezione netta e chiara che l'epoca nostra, l'epoca della grande industria, della grande città operaia,  della vita intensa e tumultuosa, doveva avere nuove forme, di arte, di filosofia,  di costumi, di linguaggio; hanno avuto questa concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista", quando invece i socialisti non erano nemmeno remotamente toccati da tutto ciò  e non osavano veramente attaccare la macchina del potere borghese, nello Stato e nelle fabbriche, timorosi in fondo di distruggere troppo. Dunque non solo i futuristi in arte sono rivoluzionari, ma, sostiene Gramsci, "in questo campo, come opera creativa, è probabile che la classe operaia non riuscirà per molto tempo a fare di più di quanto hanno fatto i futuristi". E gli operai che difendevano i futuristi "sostenevano la storicità, la possibilità di una cultura proletaria, creata dagli operai stessi".

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