venerdì 14 ottobre 2016

Miao Deshun è uno straordinario esempio per tutti


  
…L’ULTIMO STUDENTE IN CARCERE. Delle oltre 1.600 persone arrestate nel 1989 per “crimini controrivoluzionari” (qui l’intervista di tempi.it a uno di loro), solo una è ritenuta essere ancora in carcere: Miao Deshun. Operaio di Pechino, è stato denunciato per aver lanciato un cestino contro un carro armato in fiamme. Condannato a morte, la pena è stata sospesa e commutata in ergastolo. Grazie a un successivo sconto, dovrebbe uscire il 15 settembre 2018, dopo 29 anni di prigione.
TROPPO MAGRO PER LE CATENE. Ma nessuno sa se sia ancora vivo. Gli studenti imprigionati insieme a lui lo ricordano taciturno e magrissimo: «Tutti eravamo incatenati per le caviglie essendo condannati a morte. Lui no. Le guardie pensavano che essendo così magro non avrebbe potuto camminare con le catene, che erano troppo pesanti», racconta alla Bbc Dong Shengkun, suo ex compagno di cella.
Miao, continua, non ha mai voluto firmare le lettere pre-compilate dal regime in cui gli studenti di Tiananmen riconoscevano le proprie colpe. Non ha neanche mai accettato di andare nei “campi di rieducazione attraverso il lavoro” perché non pensava di dover essere rieducato.
«NON HA AMMESSO LE SUE COLPE». «Non ha mai voluto ammettere di aver sbagliato», sintetizza Sun Liyong, che oggi vive in Australia e raccoglie fondi per i reduci di Tiananmen. «L’ultima volta che è stato visto da qualcuno di noi è stata dieci anni fa». Miao ha anche rifiutato le visite dei parenti, «che abitavano lontano e lui non voleva che viaggiassero per lui. L’hanno visto l’ultima volta, poi più niente», continua Zhang Baoqun, che si è più volte trovato nella cella davanti a quella di Miao.
«Le autorità lo trattavano come se fosse pazzo, ho sentito che l’hanno trasferito a Yangqing», dove si trova un istituto per malati di mente.
«NON CI SIAMO SACRIFICATI PER QUESTO». Nessuno si stupisce che Miao sia ancora in carcere a 25 anni di distanza da quei fatti: «Non sono affatto sorpreso», afferma Dong Shengkun. «Sono passati 25 anni ma le autorità possono incarcerarti come vogliono in ogni momento. Così tante persone si sono sacrificate [per questo paese]. Ma non hanno sacrificato le loro vite per la società materialista di oggi».

Sostiene il leader degli attivisti di Dui Hua, John Kamm, in un comunicato di qualche mese fa, che il prigioniero soffre di epatite B e schizofrenia. E pensate che cosa dev'essere stato vivere in isolamento per decenni. I pochi prigionieri che erano riusciti a incrociarlo descrivono un uomo magrissimo, emaciato, che non partecipava mai neppure al lavoro con gli altri detenuti, perché questo significherebbe in pratica accettare la riabilitazione. Dicono che preferiva restarsene sempre chiuso in cella a leggere il giornale. "Era uno tranquillo, spesso depresso", ha ricordato alla Bbc Dong Shengkun, un altro prigioniero di Tiananmen che aveva diviso la cella con lui. "Avevano sospeso a entrambi la pena di morte ma dovevamo portare le catene ai piedi. A me le misero, a lui noi. Disse che le guardie probabilmente pensavano che era troppo magro: non sarebbe stato capace di camminare sotto il peso delle catene".

Le migliaia di studenti scesi in piazza 27 anni fa hanno dato vita da allora a una vera e propria diaspora. Tanti sono riusciti a fuggire: Stati Uniti, Taiwan, Gran Bretagna. Chai Ling, una delle ragazze leader della rivolta, oggi vive negli Usa, è stata due volte candidata al Nobel per la Pace e ha dato vita a un'organizzazione non profit. Wang Dan era uno dei più noti portavoce durante quelle settimane di occupazione a Tiananmen. Le foto di allora lo ritraggono in piazza, gli occhialoni che spuntano dietro al megafono. È stato sei anni in prigione, è scappato negli Usa e poi da lì a Taiwan, dove oggi insegna all'università.

Ma sono le storie dei tanti poveracci come Miao Deshun quelle più tragiche. Non erano solo studenti: tanti operai, tanti contadini, tanti giovanissimi impiegati. Come succede in ogni diaspora politica, oggi c'è pure chi accusa i leader di allora di essere riusciti a fuggire e non essersi più occupati di chi è rimasto dietro. Ma queste sono spesso polemiche montate ad hoc. La rivolta, qui, è un tabù: per un'intera generazione nata dopo il 1989 non è mai neppure avvenuta, e non serve cercarla su Internet perché su Internet non c'è. Chi allora c'era, invece, ricorda benissimo. Come il direttore del giornale vicino al potere, Global Times, che qualche tempo fa - ricordano oggi i giornali di Hong Kong, gli unici che possono occuparsi liberamente di quella protesta - dedicò al povero Miao Deshun un durissimo editoriale: "La vita di chi ha scommesso sul lato sbagliato della storia vale meno di una piuma". Infatti. Ventisette anni dopo, l'ultimo prigioniero di Tiananmen oggi pesa meno di una piuma. E finalmente può volare via.

…Beijing's Bureau of Prisons refused to answer inquiries about Miao Deshun, noting they never answer questions from foreign journalists. However, Dui Hua, a US-based organisation advocating the legal rights of Chinese prisoners, says it is highly likely that Miao is the last prisoner with offences dating back to the Tiananmen uprising in 1989.
Of course, it's possible that Miao Deshun died in prison years ago, and the news of his passing has yet to surface. The Bureau of Prisons will only confirm prisoners' status to direct relatives.
But assuming that Miao Deshun is still alive, why did he stay in prison long after most others were released?
Most former prisoners agree, that, unlike most others, Miao refused to sign letters admitting regret for his participation in the Tiananmen protests. He also refused to participate in prison labour, choosing instead to spend his days reading the newspaper in his cell.
"He is the last prisoner because he never admitted he was wrong, he refused to obey regulations and refused to participate in labour through re-education," a former prisoner, Sun Liyong remembers…

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