domenica 1 maggio 2016

La madre-Sardegna non può essere assieme accogliente e ingrata - Giovanni Maria Bellu,

Eccoci qua, noi sardi, il 28 aprile. Come dei trovatelli il giorno della Festa della Mamma. Non avendola mai conosciuta, ognuno se la immagina come vuole e come può, guidato dai propri sogni, desideri, frustrazioni. Chi la vede come una madre eroica, che è stata capace di resistere a ogni genere di oltraggio e tradimento, chi come una madre ingrata, incapace di nutrire tutti i suoi figli, chi come una madre amorevole e accogliente che ha saputo comunque allevarne la maggior parte. C’è poi chi vede nell’atto di immaginarla tutti assieme, anche se solo una volta l’anno, un momento del processo che un giorno potrebbe portare i sardi a riconoscersi in un’unica madre.
Un momento molto lontano. E non è affatto certo che un giorno ci si arrivi.
Di certo, oggi, per i sardi la mamma-Sardegna non è una sola. Infatti discutiamo animatamente, e a volte litighiamo, ogni 28 aprile, ogni volta che si celebra Sa die de sa Sardigna.
Le discussioni diventano particolarmente accese quando le istituzioni prendono l’iniziativa di suggerire ai sardi una certa idea di madre, una certa idea di Sardegna. Quest’anno la Regione, mettendo al centro di questa giornata i migranti, ha scelto un modello ibrido di madre che unisce la “madre ingrata” e la “madre accogliente”. Ingrata verso i sardi che sono stati costretti (e ancora sono costretti, specie i più giovani e più colti) a emigrare; accogliente verso altri giovani che approdano nel suo grembo dopo essere fuggiti da guerre, carestie o che, semplicemente, sono alla ricerca di migliori condizioni di vita.
Scelta nobilissima. Ha ragione l’assessore alla Cultura Claudia Firino quando dice che non dobbiamo dimenticare la storia di migrazioni che “abbiamo alle spalle” (e, a dire il vero, ancora davanti agli occhi) e sottolinea che questa storia “costituisce una fetta importante della nostra identità”. Ma a noi pare che, nel fare questa scelta, siano state sottovalutate alcune difficoltà.
La principale sta nel conciliare le “opposte madri”, l’ingrata e l’accogliente. Che poi è esattamente la difficoltà che, senza andarsela a cercare, incontra tutti i giorni l’Europa e sulla quale i movimenti xenofobi stanno lucrando crescenti consensi.
È la difficoltà che si traduce in slogan beceri – smentiti dai dati economici – e però molto efficaci, quali “Ci portano via il lavoro”. Slogan che trovano un terreno fertilissimo nel crescere della povertà, nella perdurante insufficienza di opportunità di lavoro, nella diminuzione dei servizi sociali.
Dedicare una giornata identitaria a chi soffre è una scelta alta e coraggiosa. Ma rischia di apparire un esercizio irritante di politically correct se non è stata preceduta, e non viene accompagnata, da atti coerenti e sistematici volti a combattere la povertà, la corruzione, l’ineguaglianza sociale. E, magari, anche dai primi effetti visibili di questi atti.
Effetti che ancora non si vedono, né in Sardegna né in Italia. I segni di ripresa sono ancora ambigui e fragili. E soprattutto non si vede, nell’agenda politica, la centralità del tema della lotta alla povertà. È di pochi giorni fa la notizia che le concrete madri sarde, le donne sarde, dal 2014 al 2015 hanno perso tre mesi della loro aspettativa di vita. Dato, d’altra parte, coerente col trend negativo dell’intero Mezzogiorno d’Italia.
La madre accogliente sarà riconosciuta come la madre di tutti solo dopo che saremo stati capaci di uccidere la madre ingrata.
da qui  

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