martedì 16 febbraio 2016

Due o tre cose sulle scritture - Giulio Angioni

La scrittura è una tecnica semiotica, una fabrilità comunicativa. Il nostro senso comune intorno alla scrittura è da millenni piuttosto lontano dall’avvicinare il fare e il dire, così come accade nello scrivere, che è un fare che dice. Ciò si può attribuire molto al fatto che chi scrive è da millenni un ‘intellettuale’ e non un ‘meccanico’, anche quando sia solo amanuense, scrivano, scritturale, scribacchino, uno dei pochi tra i molti che non sanno né leggere né scrivere, fino a non molti decenni fa da queste nostre parti. Ma la storia della scrittura è anche un groviglio di rapporti ambigui tra tecniche e professionalità scrittorie rispetto soprattutto a poteri politici e politico-religiosi, vicenda lunga e complessa di svariate forme di separazione e di ricomposizione tra intellettuale e manuale. Le forme attuali scritte di comunicazione elettronica sono uno sviluppo e un provvisorio punto di arrivo di una complessa storia plurimillenaria.
Se dunque la scrittura è attività segnica, è anche attività fabrile, manuale, la più fabrile delle attività segniche, la più segnica delle attività manuali. Specie prima della registrazione moderna dei suoni e delle immagini, scrivere è un fare che dice e si fa sentire in forma durevole e fruibile nel tempo e nello spazio, oltre i limiti effimeri del dire vocale. Ma se per scrittura non intendiamo, in modo eurocentrico, solo la scrittura alfabetica, nasce una evidenza capitale: se intendiamo in generale per scrittura un insieme di forme di materializzazione fuori di sé della propria interiorità, del proprio pensiero e del proprio ricordo come del proprio sentire e del proprio prevedere, allora la scrittura per l’uomo appare antica e costitutiva quanto l’uomo stesso.
Atto tecnico e atto di comunicazione trovano, o ritrovano, nei vari tipi di scrittura fonetica e ideografica eccetera, una loro unità che probabilmente è primigenia del genere umano, ben prima della nostra specie; ed è qui che si vede meglio ricomporsi l’intellettuale e il manuale. O ancora, diversità e mutamenti nei modi di pensare si possono studiare bene in rapporto alla diversità e al mutamento delle tecniche di comunicazione, come fanno gli  studiosi dei rapporti tra oralità e scrittura, che mostrano come la scrittura abbia operato e continui a operare una ristrutturazione del pensiero, che agisce poi retroattivamente anche sull’oralità, che diventa oralità secondaria rispetto all’oralità primaria, precedente la scrittura e tipica delle società dette senza scrittura solo perché hanno modi diversi di esteriorizzazione dell’interiorità rispetto alla scrittura alfabetica che mima visivamente il parlato, rendendolo durevole nello scritto oltre l’effimero del detto, o del mero pensato o sentito come nel caso delle ideografie o delle pittografie. Le quali sono tutt’altro che estranee a noi alfabetizzati, se pensiamo alla funzione comunicativa di tutto l’apparato segnaletico della punteggiatura o alle nostre scritture matematiche.
È ricorrente distinguere ‘civilizzati’ e ‘primitivi’ definendoli popoli letterati e popoli illetterati o senza scrittura, ma la distinzione può essere spesso fuorviante ed etnocentrica. La scrittura alfabetica ha certo contribuito a fenomeni come la filosofia occidentale o la certezza del diritto. Ma questi e altri sono scopi e funzioni che tutte le scritture ottengono o  possono ottenere molto più che nel parlato, soprattutto attraverso la ricorsività, cioè la possibilità di tornarci sopra allo scopo di migliori formulazioni, dopo attente riletture e riformulazioni.
La capacità di fissare la propria interiorità in simboli materiali esterni alla propria interiorità e durevoli nel tempo e nello spazio, è dunque da stabilire come caratterizzante per l’uomo, e non è nemmeno da escludere per altri viventi. Si ritiene che per miliardi di anni la vicenda della vita sulla terra sia anche l’evolversi di una ricerca sempre più chiara di un rapporto cosciente, di un contatto calcolato con altri esseri. Ricerca che amiamo pensare culminante nel processo di ominazione e che prosegue nella cultura umana, di cui il pensiero costituisce una parte, quella più elaborata, che tuttavia consegue, anch’essa, dal funzionamento delle due trame coordinate della struttura corporea e del sistema nervoso: mano libera nella deambulazione bipede eretta, bocca libera dalla ricerca e dalla prensione del cibo, scatola cranica dilatabile una volta conseguita la stazione eretta con una più agevole sospensione cranica, e quindi con un sistema nervoso molto cerebralizzato.
Che ogni forma, anche la più astratta ed elaborata, di pensiero poggi sulla fisicità attraverso le due trame coordinate della forma corporea e del sistema nervoso, nell’uomo estremamente cerebralizzato, è un fatto ben dimostrato dalle affezioni quali afasie, agrafie, alessie, sordità verbali eccetera, che possono anche essere provocate in laboratorio agendo sulla corteccia cerebrale.
È così avvenuto che ogni cultura umana ha come sua caratteristica l’elaborazione e la trasmissione di un sistema artificiale e mutevole di comunicazione che permette la trasmissione nel tempo, la conservazione e l’accumulo dei prodotti e delle capacità operative materiali e spirituali. Ogni cultura può trasmettere e comunicare prodotti e nozioni nel tempo e nello spazio fisico e sociale, in vista della conservazione e dell’accrescimento, tendenzialmente perpetuo, dei prodotti del pensiero individuale e collettivo: e ciò perché ogni gruppo umano ha potuto costruire un sistema di esteriorizzazione, di materializzazione extracorporea della sua interiorità forse prima del e soprattutto tramite il linguaggio. Ha creato la dimensione segnica, non solo, ma in modi tali, appunto perché esteriorizzazione di processi e di prodotti spirituali, che si tratta di sistemi di segni capaci di essere usati per significare se stessi: l’ape non potrà mai fare un discorso sul suo discorso eseguito col sistema della danza indicante la via del nettare. Vivere non è precisamente la stessa cosa che vivere sapendosi vivere, potendone parlare e potendo fissare fuori di sé discorsi e costrutti interiori.
E questa è conquista panumana. Ed è grave errore considerare scrittura solo quella fonetica che “riproduce” più o meno bene il parlato.  E allora, per esempio, quando noi sardi cerchiamo in ogni modo lecito e illecito di dimostrare il possesso di una grafia alfabetica da parte dei nuragici, non teniamo conto abbastanza del fatto che una pintadera sarda preistorica (come quella adottata a suo logo o simbolo da Meridiana) dice molto di più della parola scritta pintadera, così come il segno o il disegno di una croce anche più stilizzati dicono molto di più della parola scritta croce.
da qui

Nessun commento:

Posta un commento