sabato 2 gennaio 2016

Messico - Emilio Cecchi

un viaggio d'altri tempi, Emilio Cecchi era a Berkeley, nel 1930, e visita la California, Hollywood, poi va in Arizona, nel New Mexico, in Texas e infine in Messico.
visita un villaggio fantasma, di quelli della febbre dell'oro, incontra Buster Keaton, Gloria Swanson, gli indiani Hopi e Zuni, Diego Rivera (ma non Frida Khalo).
e il Messico è altro, non c'è solo la frontiera, c'è un altro mondo.
fate questo viaggio insieme a Emilio Cecchi, non ve ne pentirete - franz

ps: senza dimenticare Buster Keaton e Eisenstein





… questo Messico di Emilio Cecchi pubblicato dall'editore Vallecchi nel 1932 è il diario di bordo di un viaggio attraverso California, Arizona, Nuovo Messico, Texas, infine Messico e del successivo ritorno negli Stati Uniti. Viene presentato dall'autore come fossero osservazioni etnografiche, la fenomenologia di un lungo soggiorno con note impressionistiche. Certamente é stato così però sono necessarie alcune considerazioni. L’etnografia richiede di una precedente preparazione ed informazione, per non dire anche di un pizzico di malizia per selezionare fatti e cose, senza le quali non emerge la visione complessiva (che é già una prima interpretazione) dell’oggetto di studio. Senza questi requisiti una descrizione etnografica rischia di essere solo una lista a caso di luoghi e persone, poco più di una lista della spesa. Cecchi vuole farci credere che ignora la storia dei luoghi visitati. Ma non è così: ha letto molto di più attorno ad essi di quel che dice. A fin di bene letterario, ci inganna. Il suo viaggio non lascia quasi nulla al caso, all’hazard: ha dietro di sé scelte, ipotesi e verifiche, é insomma una ricerca o, se si vuole, la ricerca di una esperienza desiderata…

Nel 1930, Cecchi insegnava in California. Pensò di scendere verso il Messico. Fu un viaggio infero, anche se il viaggiatore tentava di nasconderlo, con la sua urbanità ironica e nemica dell’enfasi. Ma si accorse subito che nessun sapido detto toscano avrebbe potuto arginare l’invadenza delle visioni. A Hollywood, il suo sguardo si sofferma su Buster Keaton, «che cammina sbadato, inciampando nei detriti di un mondo capovolto». E subito cerca un allevamento di alligatori, centinaia di creature catafratte, di ogni dimensione, che guardano il visitatore «con l’occhio dell’ergastolano». Poi si spalanca il Messico: chiuso nella sua maschera di ossidiana, sotto un cielo che «preme come una campana di vetro opaco» e dà alle cose «una virulenta luminosità d’agonia», la realtà più impenetrabile, la più insolente per un artefice della prosa devoto al nitore della Firenze rinascimentale. Una realtà che al suo centro, nelle piramidi del Sole, sembra offrire soltanto «diavoli, infamità e lutti». Eppure Cecchi, dietro le quinte di se stesso, non aspettava, non cercava altro che questo. E il risultato è Messico, «a rigore il più bel libro di Cecchi» (Gianfranco Contini).
Messico apparve per la prima volta nel 1932.

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