domenica 17 gennaio 2016

Creatori di mostri (2) - Alexik

Creare dei mostri comporta, prima o poi, il rischio di non saperli più controllare. A pochi giorni dall’attentato di Istanbul sembra questa la condizione del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e del suo premier Ahmet Davutoğlu, ora che l’incendio che hanno contribuito ad appiccare dal proprio vicino siriano comincia a divampargli in casa.
Comincia a pagare pegno, Erdogan, per la scelta di utilizzare i gruppi jiadisti in funzione del suo delirio neo ottomano. Credeva che la destabilizzazione della Siria a proprio vantaggio, le prospettive di spartizione dei suoi territori e risorse, valessero il prezzo di qualche collaborazione discutibile, sia che si trattasse di al-Nusra, braccio siriano di al-Qāida, o delle formazione di Abu Bakr al Baghdadi (meglio conosciuta come Isis, ma che qui si preferisce indicare col termine dispregiativo arabo di Daesh).
Credeva valesse la pena l’utilizzo di siffatti alleati nell’ambito della strategia della tensione, quando gli attentati di Soruk e di Ankara fecero strage fra le file dell’opposizione curda e di sinistra. E che valesse la pena mandare avanti loro, quando si trattò di attaccare la regione autonoma del Rojava, un ostacolo alle mire espansioniste di Ankara, oltre che un pericoloso esempio per il Kurdistan turco.
Ma al-Qāida e Daesh sono organizzazioni con obiettivi e strategie proprie che giocano la loro partita su un piano internazionale più vasto, e difficilmente si fanno ridurre a mera manovalanza. Se credono, mordono la mano anche di chi li ha nutriti.
Comunque, per quelli che oggi vaneggiano di grandi coalizioni contro il terrorismo al fianco del nostro alleato anatolico, è utile ripercorrere brevemente gli eventi che hanno preceduto la battaglia di Kobane, per capire chi ha risvegliato il mostro, chi lo ha nutrito.

Cronache dal Rojava
Si è detto che i carri armati di Erdogan schierati sulle colline di Kobane, immobili di fronte all’offensiva del Daesh sulla città e apparentemente indecisi su chi sparare, rappresentino l’immagine più eloquente dell’ambiguità della Turchia. È  falso.
La Turchia non è mai stata ambigua. Ha sempre sparato senza incertezze sui curdi siriani, senza peraltro mai smettere di sparare sui propri.
L’attacco di Erdogan al Rojava per interposti jiadisti prese il via nell’agosto 2013 dalla zona di Efrin, la parte più occidentale della regione autonoma. Lì le forze speciali turche vennero viste in azione a fianco dei miliziani di al-Nusra, il braccio siriano di al-Qāida. Entrarono, con i volti coperti da passamontagna, nel villaggio di Karagöz, da dove portarono via tre anziani…

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