sabato 5 dicembre 2015

Nel segno di David - Susan Abulhawa

Questo libro precede “Ogni mattina a Jenin” di qualche anno, ma è la stessa storia, è il primo dell’autrice.
Amal è una ragazzina che vede il mondo dalla parte dei vinti*
Dentro c’è la storia di un popolo, ci sono grandi storie d’amore, una storia d’oppressione senza fine, un apartheid** crescente e impunito, storie d’amicizia senza tempo, coraggio indomito, viaggi (chi viene mandato via da casa sua deve viaggiare, per vivere, sperare in un ritorno che gli viene negato).
E poi c’è anche il massacro di Jenin (qui nel film di Mohammad Bakri)
Ma non fidatevi di chi vi parla di questo libro, le parole che legge(re)te vi da(ra)nno una una piccola idea di questo romanzo bellissimo e terribile.
Leggetelo, senza paura di indignarvi e di commuovervi - franz


*”Il racconto intelligente della sconfitta è la sottile vittoria del vinto” (Nicolás Gómez Dávila)
**qui


Qualcosa su Susan Abulhawa

Ingresso respinto nella sua Palestina, di Paola Caridi: qui

 

Qualcosa di Susan Abulhawa
La bruciante ipocrisia dell'Occidente: qui

Una poesia di Susan Abulhawa: qui

Interviene Susan Abulhawa: qui, qui e qui



Con stile lucido e appassionato l’autrice, Susan Abulhawa, cittadina americana di origine palestinese, narra la storia dolorosa della sua famiglia dal 1941 ai nostri giorni.
Per noi che viviamo in Occidente e che spesso ci accostiamo con disincanto ai problemi di quel crogiolo di popoli e di culture che è il Medio Oriente, la lotta tra Palestinesi e Israeliani ci appare talvolta incomprensibile per le nostre usuali categorie di giudizio.
A tale proposito in un passaggio del libro la cognata Fatima così si rivolge ad Amal, la protagonista: ”Credo che la maggior parte degli occidentali non ami come noi, non perché non ne siano in grado ma semplicemente perché vivono in zone sicure…l’occupazione Israeliana ci conduce fin da piccoli agli estremi delle nostre emozioni…le radici della nostra sofferenza affondano così profondamente nella perdita, che la morte fa ormai parte del nostro quotidiano… la nostra è una rabbia che gli occidentali non possono comprendere" (pag. 241)
Queste parole ci indicano con chiarezza la chiave di volta per una lettura scevra da pregiudizi, lasciandoci coinvolgere in una storia appassionante e ricca di colpi di scena…

…“La storia la scrivono i vincitori”, è una frase citata da Goering a Norimberga, e fa un effetto strano riferirla in questo contesto in cui i vincitori appartengono al popolo che i nazisti avevano progettato di sterminare. 
La Storia dei vincitori - gli Israeliani - parla di una terra promessa da cui sono stati espropriati ma loro di diritto, unica garanzia di vita dopo i pogrom, le uccisioni di massa e i forni che li hanno spinti a lasciare l’Europa. 
La Storia dei vinti - i palestinesi - parla del primo grande sopruso di aver dovuto abbandonare, nel 1948, le case e la terra in cui vivevano da un tempo di cui si è persa la memoria, di essere stati sospinti come bestiame nei campi profughi, con scene di violenza che sono pari a quelle di stampo nazista. 
La Storia contenuta nei libri cita il trattato di Balfour che ha creato le premesse per mezzo secolo di guerre e guerriglie.

Il libro di Susan Abulhawa racconta la storia dei vinti attraverso quella della famiglia di Amal, con due grandi scene di apocalittica violenza che segnano i due climax del romanzo: la prima è nel 1948, quando la famiglia di Amal deve lasciare Ein Hod, fondata da un generale dell’esercito di Saladino nel 1189, e culmina nel rapimento del bambino; la seconda è nel 2002, quando gli israeliani distrussero Jenin, il campo profughi che era cresciuto a dismisura in mezzo secolo di “provvisorietà”. Covo di terroristi, secondo Israele, ma la rappresaglia operata, che non fa distinzione tra attivisti, vecchi, donne e bambini, è di infausta memoria…

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