martedì 29 settembre 2015

I demoni dell'Eden - Lydia Cacho

si legge come un romanzo, un terribile romanzo.
e però è tutto tragicamente vero.
leggendo questo libro anche Pangloss avrebbe difficoltà enormi a convincere Candido (e noi) che viviamo nel migliore dei mondi possibili.
una giornalista segue la pista di un pedofilo potente e svela una parte di realtà, molto grande, che non vogliamo conoscere, scrivendo nomi e cognomi, e qui sta la differenza, nei romanzi i nomi sono di fantasia e nessuno prova a sequestrarti e ucciderti, Lydia Cacho l'ha provato di persona.
nel mondo alla rovescia (il nostro) deve difendersi chi racconta quello che succede.
lettura dolorosa, ma necessaria - franz





«Metti che dico a Lesly Por­ta­mene una di 4 anni, e lei mi dice: Se la sono già sco­pata, io lo vedo se l’hanno già sco­pata vedo se è il caso di met­ter­glielo den­tro o no. Tu lo sai che è il mio vizio, no? È una stron­zata ma non so resi­stere, e lo so che è un reato e che è proi­bito però è tal­mente facile, una bam­bina pic­cola non ha difese, la con­vinci in un amen e la prendi». Lydia Cacho ha comin­ciato da qui, dalle imma­gini di una con­fes­sione strap­pata da una tele­ca­mera nasco­sta a Jean Suc­car Kuri, impren­di­tore pedo­filo coin­volto nel traf­fic­king di bam­bine e ado­le­scenti all’interno di una rete inter­na­zio­nale e coperto da impor­tanti espo­nenti poli­tici e uomini d’affari pro­ba­bil­mente, anche loro, impli­cati nel traf­fico. Un’inchiesta che ha por­tato la gior­na­li­sta mes­si­cana prima alla pub­bli­ca­zione di Los Demo­nios del Eden (2005), dove rac­conta il traf­fico delle bam­bine, gli stu­pri, il mer­cato del sesso all’interno di una rete con «mol­te­plici con­nes­sioni inter­na­zio­nali», frutto di una vasta e capil­lare rac­colta di docu­men­ta­zione e di mate­riale pedo­por­no­gra­fico, con video e foto, in cui la scrit­trice non ha paura di fare nomi e cognomi dei respon­sa­bili; e poi a Memo­rie di un’infamia (2011) dove rac­conta anche la sua sto­ria, il suo incubo per­so­nale. Accu­sata di dif­fa­ma­zione e calun­nia, a causa del primo libro, dagli stessi respon­sa­bili del traf­fic­king, Lydia Cacho non sapeva di aver messo il dito su una piaga che coin­vol­geva non solo l’imprenditore Suc­car ma un intero entou­rage poli­tico fatto di legami e clien­te­li­smi, che l’avrebbe por­tata quasi a morire per mano della poli­zia giu­di­zia­ria cor­rotta. Arre­stata, seque­strata, tor­tu­rata, por­tata in un car­cere fuori la sua giu­ri­sdi­zione, Lydia è viva per mira­colo, e dopo essere stata coin­volta in pro­cessi senza fine, riceve ancora oggi minacce di morte. Ed è per que­sto che è impor­tante par­lare di lei, per­ché oltre al suo corag­gio è viva anche «gra­zie alla mobi­li­ta­zione dell’opinione pub­blica e all’appoggio di col­le­ghi e col­le­ghe del mondo del gior­na­li­smo e, più in gene­rale, di quello dei mezzi di comu­ni­ca­zione», come spiega lei stessa, per­ché se il suo caso non fosse diven­tato pub­blico e se il suo arre­sto non fosse bal­zato ai mass media al momento del suo pre­lievo coatto, il suo corpo sarebbe stato pro­ba­bil­mente ritro­vato in mare senza vita. Un esem­pio di gior­na­li­smo mili­tante che acqui­sta i suo potere «quando dà voce a chi è stato costretto a tacere dalla forza schiac­ciante della vio­lenza», uno dei motivi per cui Lydia Cacho, insieme a Roberto Saviano, ha rice­vuto pochi giorni fa l’Olof Palme Prize 2012, il pre­mio sve­dese desti­nato a chi lotta per la libertà, per la «instan­ca­bile, altrui­sta e spesso soli­ta­ria bat­ta­glia per i loro ideali e per i diritti umani».

Il potere che protegge la pornografia infantile
Questa non è la storia di un uomo che scopre quanto gli piaccia avere rapporti sessuali con bambine anche di soli cinque anni. Questa è la storia di una rete criminale che protegge e sponsorizza la pedopornografia infantile. È la storia di Jean Succar Kuri (distinto proprietario di alberghi), il capo di questa rete, che intesse relazioni con importanti uomini politici e influenti imprenditori messicani ai quali procura bambine e bambini per il loro piacere. Scrivere o leggere un libro sugli abusi sessuali infantili e sul traffico di minori non è un compito facile né un passatempo gradevole. Su questo fenomeno, tuttavia, è più pericoloso mantenere il silenz io. Con la tacita connivenza della società e dello Stato, migliaia di bambine e bambini diventano vittime di trafficanti che li trasformano in oggetti sessuali a beneficio di milioni di uomini, che dalla pedopornografia e dall’abuso sessuale sui minori traggono un godimento personale esente da interrogativi etici. Benché gli episodi raccontati dalle vittime siano profondamente dolorosi, il coraggio dei testimoni e la chiarezza degli esperti ci consentono di scorgere la luce in fondo al tunnel e approfondire le conseguenze dell’inazione di fronte alla violenza e allo sfruttamento sessuale. Questo è un libro di Lydia Cacho, la giornalista più temuta e ricercata del Messico.
Il primo libro di Lydia Cacho.  Per questa inchiesta la giornalista è stata arrestata illegalmente, torturata e minacciata di morte numerose volte.

Città del Messico. In un paese dove i giornalisti sono comunemente assassinati dai trafficanti di droga se scrivono articoli sullo spaccio, Lydia Cacho Ribeiro ha preso di mira un’altra piaga: la prostituzione forzata di minori. Il suo libro “I demoni dell’Eden: il potere dietro la pornografia”, pubblicato in lingua spagnola nel maggio 2005, testimonia il coinvolgimento di importanti uomini d’affari messicani nei giri della pornografia infantile. Nel testo fa menzione di Jose Kamel Nacif Borge, un industriale tessile di Puebla, amico e socio di Jean Succar Kuri, uomo d’affari arrestato in Arizona (ed in attesa di estradizione da parte del Messico) per accuse riguardanti la pornografia e la prostituzione infantile.
Il libro di Lydia dimostra che Nacif Borge non è solo un amico, ma bensì un protettore di Succar e ciò implica che l’industriale tessile potrebbe a sua volta aver abusato o abusare di minorenni.
Nacif, conosciuto come “Il Re del Denim” per le sue fabbriche di jeans, ha denunciato la 42enne autrice per diffamazione, e Lydia è stata arrestata a Cancun il 16 dicembre 2005. Quel giorno la polizia le fece compiere un viaggio di ventuno ore in auto fino a Puebla, nel Messico centrale, poiché là era stato emanato l’ordine di arresto.
“Il modo in cui sono stata arrestata, con quattro veicoli corazzati e una scorta di poliziotti, è il tipo di cosa che vorrei veder fatta per l’arresto di coloro che continuano ad assassinare donne a Juarez.”, mi ha detto Lydia, riferendosi alle centinaia di omicidi di donne che in quella città sono casi insoluti. La polizia insiste a ripetere che tutto è stato compiuto in termini assolutamente legali. Nei prossimi mesi Lydia dovrà presentarsi in tribunale. Se trovata colpevole, potrebbe essere condannata a sei mesi di prigione. Come in gran parte dell’America Latina, la diffamazione è un reato penale vero e proprio. Basta che le parole danneggino una reputazione: anche se ciò che viene detto è vero, può essere rubricato come diffamazione.
Lydia Cacho dice che in tribunale dovrà dimostrare che non ha scritto certe cose per “malizia”, ma perché ciò era necessario al suo lavoro di giornalista. Il suo libro include la trascrizione di un video in cui Succar attesta pianamente di aver fatto sesso con bambine di cinque anni. Il video, parte di un’operazione in cui la vittima predestinata di Succar ha segretamente registrato una conversazione con lui, è di due anni orsono ed è stato ampiamente pubblicizzato.
“Quello che ho scritto di Nacif Borge è esattamente ciò che la vittima ha detto di lui alla polizia federale. Succar e Nacif Borge sono amici intimi, è quello che entrambi hanno dichiarato.”, dice ancora Lydia. Ciò è stato sufficiente per l’accusa di diffamazione e per quello che Joel Simon, vicedirettore del Comitato di protezione dei giornalisti di New York, chiama “un rapimento giudiziario”. Simon sostiene che la classificazione criminosa della diffamazione in America Latina limita la libertà di parola. La sua organizzazione ha chiesto al Presidente messicano che i reati contro la libertà di opinione vengano investigati. Amnesty International ha chiamato la detenzione di Lydia Chaco “molestia giudiziaria”, e sostiene che essa minaccia la libertà di espressione della giornalista, e rende il resto del suo lavoro più pericoloso. Numerosi altri gruppi internazionali sono intervenuti a favore di Lydia.
L’autrice ed attivista racconta che sua madre, psicologa, ebbe in cura numerose vittime di abusi sessuali e violenza domestica, ed instillò nei propri sei figli la convinzione che “noi si abbia l’obbligo di fare qualcosa per il nostro paese, non tanto come atto quanto come responsabilità”. Per circa 4 anni, dichiaratamente ispirata dalla madre, Lydia ha diretto un Centro per le vittime di violenza domestica a Cancun, il “Centro Integral de Atencion a la Mujer”, che si è costruito un’ottima reputazione. La giornalista è molto conosciuta come direttrice del magazine “Esta boca es mia” (Questa bocca è mia), una rivista alternativa dedicata alle donne con base a Cancun. Lydia fa parte del network “Comunicacion e Informacion de la Mujer” (Comunicazione ed informazione della donna) il cui scopo è trattare informazioni e temi utili alle donne. E’ anche collaboratrice di vari quotidiani.
Lydia Cacho, laureata alla Sorbona, figlia di immigrati francesi, lasciò Città del Messico circa vent’anni fa, trovandola troppo caotica. Pensava che avrebbe avuto a Cancun una vita “pacifica e tranquilla”. Il suo lavoro le ha portato minacce ed almeno una grave aggressione. Lydia sospetta che lo stupro che ha subito su un autobus nel 1998 sia stato compiuto per ridurla al silenzio. Ora, i rischi che corre vanno aumentando. Subito dopo la pubblicazione del libro Lydia è stata posta sotto protezione dalla polizia federale, che però non ha avuto l’autorità per proteggerla dall’arresto da parte degli ufficiali di stato.
I casi di abuso di minori di cui si è occupata partono dalla testimonianza di una delle vittime di Succar, che un paio d’anni fa lo denunciò. La ragazza disse che l’uomo l’aveva incontrata fuori di scuola quando aveva 13 anni e l’aveva invitata a casa sua per nuotare in piscina e guardare la tv. Dopo un paio di visite Succar la costrinse a fare sesso con lui, e più tardi ad “arruolare” altre ragazzine, persino più giovani di lei. La ragazza rivelò tutto quattro anni più tardi, dietro consiglio di un’insegnante con la quale si era confidata.
Dopo aver testimoniato, la fanciulla (il cui nome non appare nel libro) si rivolse al Centro diretto da Lydia per aiuto, poiché era stata minacciata. Lydia riuscì a farla accogliere da un rifugio in Texas, dove sperava che la ragazza sarebbe stata al sicuro, ma gli avvocati di Succar riuscirono a trovarla e le fecero ritirare la denuncia. Da allora la ragazza è ricoverata in un istituto di Los Angeles, dove viene curata per grave trauma psicologico.
da qui

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