domenica 20 settembre 2015

Così mi sono liberata da Facebook – Benedetta Perilli

Ho disattivato il mio account Facebook da oltre un mese. Lo avevo aperto nel 2008 e dopo aver festeggiato sette compleanni insieme agli "auguriiii :-)" dei miei oltre 900 amici, visto nascere i loro figli, morire i loro gatti, crescere i loro amori, condiviso gioie e dolori di persone incontrate una sola volta nella vita, alla fine ho scelto di smettere di guardare le foto delle loro vacanze e dei loro panini.


L'ho fatto perché di Facebook ero diventata dipendente. Non solo non ero riuscita a dosare la mia presenza social, ma soprattutto non avevo dominato la compulsione di guardare perennemente lo schermo del telefonino muovendo in alto l'indice. Dalla mattina - ancora nel letto - alla colazione, passando per il bagno (si salva la doccia perché lo smartphone non è impermeabile). Poi in macchina - al semaforo nessuno suona più quando scatta il rosso, come te stanno tutti chattando su Facebook - al lavoro, dopo il lavoro, durante l'aperitivo mentre l'amico parla e tu lo ascolti ma non lo guardi perché gli occhi sono incollati sulla pagina biancoblu, a cena, dopocena, al cinema, al concerto, a letto. Addormentarsi su Facebook. Come se fosse normale.



Non riguarda tanto sapere cosa stanno facendo gli altri o cosa sta succedendo nel mondo, quanto riempire i tempi morti della giornata - e non solo quelli - con un'azione artificiale. In attesa dal parrucchiere, in coda al supermercato, a una cena, in spiaggia: tirare fuori lo smartphone, piazzarsi sull'homepage del social preferito e restare lì mentre intorno la vita reale si muove. Come i bambini davanti ai cartoni animati e i padri che guardano il Tour de France nei pomeriggi d'estate, tu gli parli ma non rispondono, sono assorti, quasi assuefatti. A me con Facebook capitava la stessa cosa...


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