martedì 4 agosto 2015

In quanto padre - Pietro Ratto

Un padre è sempre un padre.
E’ sacrosanto, è inevitabile che mantenga i suoi figli.
E non importa se questi nemmeno sanno che esista, se non vogliono stare con lui, se si tengono ben lontani dalla sua casa da quando, magari fin da piccolissimi, sono stati portati via dalla loro madre. Un padre è sempre un padre, quindi deve pagare per il loro sostentamento.
Deve farlo anche se i suoi figli non gli raccontano mai nulla della loro vita, anche se non gli chiedono mai nemmeno un consiglio, anche se prendono consapevolmente decisioni che lui non condivide. Anche se i figli non si preoccupano mai di come stia, se non sanno nemmeno cosa faccia, come viva.. Non importa mica: lui deve continuare a mandare ogni mese il suo bravo assegno alla donna che in tutti i modi s’impegna, quotidianamente, per cercare di rovinarlo, di screditarlo, di umiliarlo il più possibile, spesso sotto il tacito – se non complice – sguardo di quegli stessi figli di cui lui è pur sempre il padre.
E’ così semplice.. Il mestiere di padre si esercita così: pagando.
Quando una famiglia si dissolve, improvvisamente non è più molto chiaro cosa faccia di una madre “pur sempre una madre”, quale sia il ruolo a cui i figli debbano attenersi “in quanto figli”.. Ma riguardo al padre, nessun dubbio.
Un padre deve comportarsi da padre. E il ruolo di un padre è pagare.
Quindi deve fare il padre, e deve farlo senza chiedere o sperare nulla. Magari completamente a vuoto, meccanicamente, da perfetto autistico. Un semaforo acceso nel mezzo di un deserto, che non ha mai visto nemmeno un’automobile ma che, inesorabilmente, continua ad accendersi.
Rosso, verde, giallo. Rosso, verde giallo…
Nessun figlio è pur sempre un figlio. Nessuna madre è pur sempre una madre.
Solo un padre.
Solo lui è pur sempre un padre.

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