venerdì 24 luglio 2015

A Oaxaca non ne possiamo più - Gustavo Esteva

Non ne posso più di quello che succede a Oaxaca, ha detto alcuni giorni or sono Francisco Toledo. Ha espresso così, con precisione da artista, l’umore che c’è nell’aria ad Oaxaca. Circola di nuovo lo Ya basta! (Adesso basta!) degli zapatisti. Si ripete ancora una volta l’Estamos hasta la madre! (Ne abbiamo piene le scatole!) di Javier Sicilia.
Oggi ci mobilita il valore simbolico, storico e ambientale del Cerro del Fortín. Ci mobilita la corruzione insensata di uno dei padroni dell’albergo installato nel Fortín. Come ministro del turismo del governo locale, in evidente conflitto di interessi, ha promosso la costruzione a fianco del suo albergo di un grande Centro convegni che può causare immensi danni ambientali e sociali.
Lo stesso Toledo ha messo in luce l’atroce ingiustizia di assegnare a questo Centro molto più denaro che ai servizi sanitari, anche se ci sono bambini che nascono nei cortili degli ospedali e medici che scioperano perché la mancanza di farmaci impedisce loro di fare il loro lavoro. Tuttavia non stiamo lottando contro l’idea di costruire un Centro convegni, sebbene ce ne sia già uno a 100 metri di distanza da quello progettato, e un altro a due chilometri. Lottiamo contro l’idea di farlo al Fortín, e con tanto sperpero di denaro. Abbiamo già presentato tre ipotesi di ubicazioni migliori di quella del Cerro, senza i suoi rischi geologici e i suoi danni ambientali, e molto meno costose e più efficienti.
Ci mobilita una lunga serie di soprusi. Il Centro è stato la goccia che fa traboccare il vaso.
Non ne possiamo più della corruzione e dell’incompetenza delle autorità e della politica come puro affare di pochi. Più volte abbiamo dimostrato che sappiamo molto meglio dei funzionari quello che si deve e quello che non si deve fare.
Non ne possiamo più del loro autoritarismo, del loro essere ciechi e sordi a ciò che dice e fa la gente. Non ci hanno presi in considerazione quando abbiamo cercato di impedire la costruzione di un supermercato Chedraui che ha distrutto un’area boschiva urbana di immenso valore; quando abbiamo presentato tre opzioni alternative a un assurdo svincolo stradale; quando abbiamo difeso molte aree aggredite, come il Cerro di San Felipe; quando abbiamo chiesto che venisse smantellata l’insegna posta da Ulises Ruiz all’auditorium Guelaguetza… È stato impossibile ottenere che le autorità ascoltassero le proteste della società.
Non ne possiamo più del cinismo. Il Centro contravviene a tutte le regolamentazioni locali e federali… ma dal governatore in giù continuano a dichiarare che soddisfa tutti i requisiti. Mentre il paese va a picco e dilaga la miseria, sentiamo soltanto dire dal governo che siamo nel migliore dei mondi possibili.
Non ci tranquillizza l’annuncio di una consultazione pubblica sul Centro, che non può essere attuata dai funzionari che l’hanno annunciata e che ha messo in luce il carattere ingannevole della legge di partecipazione civile che hanno istituito. Nella Guelaguetza popolare, nata come alternativa a uno spettacolo ufficiale per stranieri che ci emargina, abbiamo iniziato oggi la campagna «Che cosa è successo ai miei diritti?», che protesta per la chiusura del Congresso e del Ministero degli interni di fronte ad una profonda e ampia consultazione sui diritti indigeni.[1] Ormai non crediamo più nella parola che viene dall’alto.
Dopo i 12 anni atroci di Murat e di Ulises Ruiz, indubbiamente l’arrivo di Cué ha generato speranze in diversi settori, che ora sono i primi a dichiarare la propria frustrazione e la propria delusione. Sì, non ne possiamo più di tutte le classi politiche, per la loro corruzione, la loro incompetenza, il loro autoritarismo. Non è stato uno sproposito di Toledo l’aver detto che la consultazione avrebbe senso se includesse la revoca del mandato del governatore e del presidente del Municipio.
Non ci dà sollievo sapere che il caso di Oaxaca non è un’eccezione, ma la regola. Non ne possiamo più anche del fatto che El Chapo Guzmán e Ulises Ruiz siano liberi, nonostante i loro innumerevoli reati, mentre rimangono in carcere Nestora, Mario Luna, i prigionieri politici di Oaxaca, molti nostri compagni.
Non ne possiamo più che si continui a consegnare il paese al capitale privato e che si intensifichi la rapina sbrigativa e palese dei nostri territori, delle nostre acque, dei nostri mezzi di sussistenza.
Non ne possiamo più delle concessioni accordate a miniere, mega-progetti, opere insensate, mentre grava sempre più su di noi il disastro economico a cui contribuisce quotidianamente il governo.
Ci addolora vedere che alcuni compagni chiudono gli occhi di fronte a questa situazione, non si attivano per affrontarla con coraggio, dignità e organizzazione, e si adeguano all’illusione del ricambio, alimentando la fantasia che basterebbe sostituire alcuni funzionari o alcuni partiti per uscire dall’abisso in cui siamo caduti e far fronte al disastro.
Predisponendoci a lottare tanto quanto sarà necessario per difendere ciò che è nostro, richiamiamo alla memoria la nostra lunga esperienza, quello che abbiamo imparato da errori recenti, quello che abbiamo sperimentato nella nostra organizzazione e nella nostra antica capacità di governarci. Quando verrà il momento, sapremo che cosa fare.
Fonte: La Jornada
Traduzione di camminar domandando www.camminardomandando.wordpress.com
[1] N.d.t. – Si allude alla proposta di Riforma costituzionale sui diritti del popoli indigeni e afro-messicani di Oaxaca, frutto di un ampio processo di elaborazione a cui hanno partecipato attivamente 15 popoli indigeni e diversi settori della società civile, presentata dal governatore Gabino Cué il 14 marzo 2014. La proposta è ancora bloccata al Congresso (si veda ad esempio: http://www.noticiasnet.mx/portal/oaxaca/general/derechos-humanos/291259-lanzan-campana-que-paso-mis-derechos).

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