domenica 28 giugno 2015

Perché la Tunisia è una priorità dello Stato Islamico - Simone Olmati

Colpita dai jihadisti per la seconda volta in pochi mesi in una delle sue principali attrazioni turistiche, la Tunisia si conferma uno Stato vulnerabile.

Stesse modalità, stesse vittime civili, stessa rivendicazione dello Stato Islamico come già successo a marzo nell’attentato al museo del Bardo. Anzi, stavolta le vittime sono state anche di più e la spettacolarità dell’attacco (il terrorista che secondo testimoni arriva in gommone, nasconde il kalashnikov nell’ombrellone e inizia a sparare sulla spiaggia) non lascia dubbi sull’obiettivo anche propagandistico perseguito dai jihadisti.

Armi automatiche, rapidità d’esecuzione e una scelta dei luoghi per nulla casuale: Tunisi a marzo e Sousse venerdì 26 giugno. I due cuori di un paese che vuole diventare adulto a quattro anni dalla sua rivoluzione e che invece deve fare i conti con una nuova minaccia, distogliendo risorse importanti che pensava di poter destinare alla crescita economica.

L’area costiera di Sousse è stata peraltro recentemente oggetto di un piano di potenziamento della sicurezza degli stabilimenti balneari, proprio per garantire il tranquillo svolgimento della stagione turistica.

Attaccando qui i jihadisti hanno voluto sfidare la politica colpendo l’economia. L’hotel assaltato è infatti uno dei più frequentati dai turisti occidentali e l’attacco di ieri mira a danneggiare la stabilità di un paese che trae proprio dal turismo buona parte delle sue risorse. Gli operatori del settore concordano nel rilevare un drastico calo di presenze straniere rispetto a un anno fa, a causa dell’attentato del Bardo. Un’inversione di tendenza dopo Sousse a questo punto pare impossibile.

Creare e diffondere il panico tra la società civile rientra pienamente nella tattica delle organizzazioni terroriste presenti in Nordafrica, tra cui al-Qaida nel Maghreb Islamico (Aqim) e lo Stato Islamico, che ha dedicato molte attenzioni alla Tunisia pur non essendo molto radicato nel paese.

Il numero 8 di Dabiq, la rivista dell’Is, riportava infatti in copertina la moschea di Kairouan (città d’origine di uno degli attentatori catturati ieri secondo il ministro dell’Interno) e conteneva un’intervista a Boubakar el-Hakim, l’assassino del leader politico tunisino Mohammed Brahmi.

Secondo alcuni osservatori, la Tunisia è da tempo nel mirino dello Stato Islamico, se non come terreno di espansione almeno come obiettivo da colpire. Il paese che ha dato avvio alle cosiddette primavere arabe costituisce infatti – pur con tutti i suoi limiti – un esempio di processo costituente e di democrazia che l’Is vuole far naufragare, costringendo Tunisi a una deriva securitaria che dovrebbe portare al disfacimento dello Stato.

Il presidente tunisino Beji Caid Essebsi ha già promesso l’adozione di non meglio specificate misure “dolorose ma necessarie”, aggiungendo che non sarà più possibile sventolare alcuna bandiera se non quella tunisina. Il primo ministro Habib Essid ha dichiarato invece che 80 moschee “che promuovono il terrorismo” verranno chiuse e prospettato altre misure straordinarie.

Si spera che questi annunci non si traducano in un controproducente ritorno al passato. È ormai evidente infatti che il miglior brodo di cultura per l’estremismo e il terrorismo di matrice religiosa è costituito da regimi autoritari e discriminatori. La presenza di una società civile democratica e inclusiva e di istituzioni che la rappresentano è il miglior antidoto all’espansione del “califfato”. Come riconosciuto dallo stesso Essebsi, Tunisi non è in grado di prevenire né di contrastare il fenomeno jihadista da sola.

Appena tre mesi fa si ricordava come fosse necessaria la cooperazione tra Europa e Tunisia e di come le due sponde del Mediterraneo avrebbero avuto bisogno di coordinarsi su temi quali economia, immigrazione e terrorismo in virtù della loro vicinanza storica e geografica.

Il fatto che nelle stesse ore del 26 giugno siano state colpite entrambe (oltre al Kuwait) è un’ulteriore triste conferma della necessità di agire insieme.


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