sabato 23 maggio 2015

Tango italiano – Rino Genovese

ho iniziato a leggerlo per caso, il tango non c'entra niente, Maradona neanche, c'entrano l'Argentina e l'Italia.
Rino Genovese fa un viaggio, realtà e sogno spesso di confondono, la dittatura è sempre presente, troppo recente per essere dimenticata.
un bel libro, senza risposte, merita la lettura, fra Napoli e Buenos Aires - franz





Non è un libro sul tango, ma è un libro introspettivo, malinconico come un tango.
Man mano che lo leggi e ti addentri nella storia, ti senti come se stessi ballando un tango, uno di quelli struggenti, uno di quelli che ti entra dentro e che ti parla all’anima, uno di quelli che capisci che tu, il tango, lo hai sempre avuto dentro.
Non so se questo sia dovuto al tipo di scrittura che usa l’autore, o piuttosto alle emozioni vissute dal protagonista e descritte con atmosfere veramente da “sogno”.
La “tanghitudine” (per dirla alla Meri Lao) emerge da ogni pagina, forse per i luoghi descritti, forse per le persone che ruotano attorno al protagonista, forse per il clima e il traffico della città, o per la storia di un amore inespresso; forse sono i discorsi sulla politica, nostalgici e evocativi di tempi e luoghi andati ma che a volte ritornano; forse per la questione dei desaparecidos…
Il libro inizia così:
Di ritorno da Buenos Aires, mi pare di non esserci ancora stato, di averla solo intravista in un inquieto dormiveglia, questa città letteraria e terribile con i suoi marciapiedi pieni di buche, i cieli di smalto e la coscienza popolata di morti. Eppure non più tardi di quarantotto ore fa, mi portavo appresso fra il Richmond e il Tortoni la mia tristezza morbida come un guanciale…
un viaggio a Buenos Aires in cui, nel paragone costante con l’Italia, avrei dovuto cercare di cogliere il nucleo emotivo di quel paese lontano e insieme così vicino al nostro. Nel mio viaggio trovai un’Argentina che mostrava le piaghe della tragedia vissuta sotto la dittatura militare e follemente proiettata verso quel crac cui il neoliberismo, anche questo in salsa peronista, di lì a qualche anno l’avrebbe condotta. Dal punto di vista letterario la strategia dell’autofinzione era ancora più accentuata, con il personaggio autobiografico che fin dalle prime pagine dichiara di chiamarsi proprio come me; il viaggio sarebbe stato più che vissuto rivissuto in una specie di trance, grazie all’apporto stilistico di una narrazione all’imperfetto proustiano e, tematicamente, mediante un io narrante in costante stato di semiubriachezza. Il tutto avrebbe dovuto rendere la grande malinconia argentina, connaturata al paese in quanto terra d’immigrazione, e rafforzata da ultimo dalla fitta popolazione di morti desaparecidos

Disincanto che è pure l'angolo prospettico da cui Genovese, nel suo vagabondare da "flaneur" solo all'apparenza svagato, raffigura situazioni e persone con una felicità di scrittura che maschera una prosa sorvegliatissima e calibrata nel dosaggio di scampoli di Storia e vita, cui si alternano gli intervalli d'una accidia tutta letteraria che, se favorisce la disamina interiore, s'accompagna pur sempre al peregrinare attraverso i luoghi d'una leggenda (la città labirinto di Borges, appunto).Questi sono a loro volta scaltri pretesti per commenti, note didascaliche e riflessioni tra il politico e il sociologico, talvolta un po' forzate all'interno di un testo narrativo. Il progetto di misurarsi col passato per poter meglio fronteggiare l'oggi - cioè fare storia strappando "brandelli di possibilità alla pesante trama dell'esistente" - viene però frustrato dall'opacità e dallo stallo di un presente in cui Genovese non riesce a cogliere segni di rinnovamento.
Ma "Tango italiano", di là dalle tentazioni saggistiche, si può anche leggere come un racconto d'amore irrisolto non solo per l'enigmatica Eva (o l'Argentina), ma anche per l'Italia. Meglio, come la narrazione di pluri-mi rapporti d'amore-odio.Ritornato dall'America al luogo di partenza e appartenenza, Genovese conclude che, se la vita e la storia ci paiono "un girare a vuoto e un movimento immobile", ciò non comporta la necessità di ridurle senz'altro alla rappresentazione intellettuale di un labirinto senza sbocchi.
Così il protagonista, in un ritorno di fiamma d'entusiasmo, nella pagina finale che reinnesca in modo simpatico l'avvio del libro, opterà per la non facile decisione di testimoniare la propria crisi mediante un "diario", assai più pubblico che privato, alla scoperta della realtà contemporanea, assumendo coraggiosamente su di sé la mai lieve responsabilità "del dire e dello scrivere".
da qui

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