sabato 30 maggio 2015

Perché sostengo il boicottaggio culturale di Israele - Iain Banks

Sostengo la campagna per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) perché, soprattutto nel nostro mondo connesso istantaneamente, un’ingiustizia commessa contro uno, o contro un gruppo di persone, è un'ingiustizia contro tutti, contro ogni uno di noi, una ferita collettiva.
Il motivo per cui, in particolare, partecipo al boicottaggio culturale di Israele è che, prima di tutto, lo posso fare. Sono uno scrittore, un romanziere, e creo opere che sono, di norma, presentate al mercato internazionale. Questo mi dà un piccolo grado di potere in più su ciò che ho come cittadino (del Regno Unito) e come consumatore. In secondo luogo, se possibile, quando si cerca di puntare su qualcosa, si deve essere precisi, e colpire dove fa più male. Il boicottaggio sportivo del Sud Africa quando era ancora sotto il regime razzista dell'Apartheid ha contribuito a portare il paese alla ragione perché la minoranza dominante Afrikaaner ci teneva così tanto alle loro prodezze sportive. Il Rugby e il cricket, in particolare, erano profondamente importanti per loro, e la posizione generalmente alta delle loro squadre nelle classifiche delle leghe internazionali era una questione di considerevole orgoglio. Quando alla fine sono stati isolati dal boicottaggio sportivo - come parte del più ampio boicottaggio culturale e commerciale - sono stati costretti in modo molto più persuasivo ad affrontare il proprio stato da fuorilegge nel mondo.
Un boicottaggio sportivo di Israele inciderebbe relativamente poco sull'autostima degli israeliani rispetto al Sud Africa; mentre il boicottaggio intellettuale e culturale potrebbe contribuire a fare la differenza, soprattutto ora che gli eventi della primavera araba e le ripercussioni continue dell’attacco al convoglio della pace della flottiglia per Gaza hanno minacciato sia la capacità di Israele di fare affidamento sulla collusione dell'Egitto nel contenimento di Gaza sia la volontà della Turchia di impegnarsi con simpatia con il regime israeliano in qualsiasi modo. Sentendosi sempre più isolato, Israele è tanto più vulnerabile ad ulteriori prove che esso, a sua volta, come il regime razzista del Sud Africa, il quale una volta sosteneva e con il quale collaborava, è sempre più considerato uno stato fuorilegge.
Sono riuscito a giocare un ruolo piccolissimo nel boicottaggio culturale del Sud Africa, assicurando che - una volta che mi sono accorto che potevo farlo - i miei romanzi non vi fossero in vendita (mentre ero costretto da un precedente contratto, sotto i cui termini i libri venivano venduti in Sud Africa, ho fatto un calcolo approssimativo delle royalties guadagnate ogni anno e ho versato tale importo all’African National Congress). Dal momento dell'attacco del 2010 in acque internazionali sul convoglio per Gaza guidato da una nave turca, ho istruito il mio agente di non vendere più i diritti dei miei romanzi agli editori israeliani. Non compro prodotti o cibo provenienti da Israele, e con la mia compagna cerchiamo di sostenere i prodotti palestinesi, ove possibile.
Non sembra un granché, e non sono del tutto felice di fare ciò; a volte può sembrare di prendere parte ad una punizione collettiva (anche se il BDS è, per definizione, rivolto direttamente allo stato e non al popolo), e questo è una delle accuse più dannose che possono essere mosse contro Israele stesso: che impone una punizione collettiva al popolo palestinese all'interno di Israele e nei territori occupati, vale a dire la Cisgiordania e - in particolare - il vasto campo di prigionia che è Gaza. Il problema è che l'impegno costruttivo e la ragionata argomentazione hanno palesemente fallito, e l'arma, relativamente grezza, del boicottaggio è più o meno tutto quello che resta. (Alla domanda: "Che ne dici del boicottaggio dell’Arabia Saudita?" - Tutto quello che posso affermare è che tagliare il mio consumo della sua esportazione più redditizia è stato un motivo periferico per la mia rinuncia alcuni anni fa alle auto di grossa cilindrata che un tempo guidavo e al viaggiare in aereo. Di certo non avrebbe permesso che un mio libro fosse pubblicato neanche lì, anche se - ovviamente, date alcune delle cose che ho detto su questa scusa barbara per un paese, per non parlare dei contenuti dei libri stessi - la questione non è mai sorta, e non lo farà mai mentre è al potere qualcosa di lontanamente simile all'attuale regime.)
Come persona che ha sempre rispettato e ammirato le conquiste del popolo ebraico - hanno probabilmente contribuito ancora di più alla civiltà mondiale che gli scozzesi, e noi Caledoni non siamo timidi nel promuovere la nostra piccola-ma-influente storia - e che ha provato compassione per le sofferenze che ha vissuto, soprattutto negli anni precedenti e poi durante la seconda guerra mondiale e l'Olocausto, mi sentirei a disagio a prendere parte in una qualsiasi azione che - anche se solo grazie agli sforzi della macchina di propaganda israeliana - possa essere sostenuta da alcuni come azione che li prende di mira, nonostante il fatto che lo Stato di Israele e il popolo ebraico non sono sinonimi. Israele e i suoi apologeti non possono, però, avere entrambe le cose: se vogliono fare l’affermazione piuttosto isterica che ogni e qualsiasi critica della politica interna o estera di Israele è antisemitismo, devono anche accettare il fatto che questo presunta, se speciosa, indivisibilità offre l'opportunità per quello che pretendono sia la censura di uno a funzionare come la condanna dell’altro.
La tragedia particolare del trattamento di Israele del popolo palestinese è che nessuno sembra aver imparato nulla. Israele stesso è stato creato in parte come un tentativo tardivo e colpevole da parte della comunità mondiale per contribuire a compensare la sua complicità, o almeno la sua incapacità di prevenire, il catastrofico crimine dell'Olocausto. Di tutti i popoli, quello ebraico dovrebbe sapere come ci si sente ad essere perseguitato in massa, punito collettivamente e trattato come meno che un essere umano. Per lo stato di Israele e il collettivo di spesso improbabili difensori in tutto il mondo che lo sostengono ciecamente nel perseguire e mantenere il trattamento disumano del popolo palestinese – forzato così brutalmente a lasciare le sue terre nel 1948 e ancora oggi sotto attacco – l’essere così ciechi all'idea che l'ingiustizia è l’ingiustizia, a prescindere non solo da chi la subisce, ma pure da chi la commette, è una delle iniquità che definisce la nostra epoca, e implica con forza un limite vergognosamente basso sul grado di intelligenza morale della nostra specie.
La soluzione all'esproprio e alla persecuzione di un popolo non può essere mai quella di espropriare e perseguitarne un altro. Quando facciamo questo, o partecipiamo a questo, o anche solo permettiamo che ciò accada senza criticarlo o porre resistenza, non facciamo altro che garantire ulteriori atti di ingiustizia, oppressione, intolleranza, crudeltà e violenza in futuro.
Può essere che ci vediamo come molte tribù, ma siamo una sola specie, e nel mancare di alzare la voce contro le ingiustizie inflitte ad alcuni di noi e di fare quello che possiamo per combatterle senza accumulare ulteriori ingiustizie su quelle precedenti, imponiamo effettivamente una punizione collettiva a noi stessi.
La campagna BDS per la giustizia per il popolo palestinese è una campagna che spero qualsiasi bava persona aperta sosterrebbe. Gentili o ebrei, conservatori o di sinistra, non importa chi siete o come vi vedete, queste persone sono la nostra gente, e collettivamente abbiamo voltato le spalle alla loro sofferenza per troppo tempo.

Estratto da “Our People” di Iain Banks, di Generation Palestine: Voices from the Boycott, Divestment and Sanctions Movement, a cura di Rich Wiles, pubblicato da Pluto Press.

Fonte: The Guardian 
Traduzione di BDS Italia

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