mercoledì 1 aprile 2015

ricordo di Albino Bernardini







È difficile immaginare quali parole Albino Bernardini, scrittore e vecchio maestro di scuola, spenderà domani mattina (alle 10,30) nell'aula del Rettorato in via Università a Cagliari. Difficile immaginare se nelle sue corde prevarranno unicamente la commozione e la gioia per essere stato chiamato a ricevere uno dei più importanti riconoscimenti della sua vita, il diploma di laurea "Honoris Causa" in Scienze dell'educazione che gli verrà consegnato dal rettore Pasquale Mistretta. O se, nella sua intatta vitalità di fresco 87enne, ci stupirà dando ancora fiato e gambe a un'idea di scuola, e insieme di società, coltivata e difesa caparbiamente con l'esempio di tutta una vita. Il riconoscimento della laurea al Maestro di Pietralata, così come viene ancora ricordato in tutta Italia l'autore del libro che ispirò lo sceneggiato Diario di un maestro diretto da Vittorio de Seta e mandato in onda dalla Rai negli anni Settanta, giunge in un momento quanto mai difficile e controverso. Non solo per le retrive ventate ideologiche che oggi spirano con violenza sulla scuola pubblica italiana. Ma anche a causa dell'incredibile scandalo che in questi giorni scuote la stessa facoltà di Scienze della formazione dell'Università di Cagliari, dopo la pubblicazione nei suoi Annali di un testo (peraltro immediatamente rigettato e stigmatizzato dal Rettore e dai vertici universitari), teso a giustificare lo sterminio degli ebrei nella Shoah e a irridere a ogni valore di convivenza civile, di partecipazione e di concreta solidarietà tra gli individui e tra i popoli. Ovvero a tutti quei valori a cui Bernardini, nei suoi scritti e nelle aule dove ha operato, ha sempre fatto riferimento con lo stesso piglio visionario e insieme con la stessa rivoluzionaria concretezza dei Mario Lodi, dei Don Lorenzo Milani e dei Giuseppe Pontremoli. La richiesta di assegnazione del riconoscimento a Bernardini, promossa e presentata dalla sezione cagliaritana del Movimento di cooperazione educativa con il sostegno di numerosi docenti universitari sardi, ha ripercorso le tappe di un straordinario viaggio nella scuola italiana. Dagli esordi del giovane maestro di Siniscola dietro le cattedre nei piccoli paesi della Baronia, in un difficile dopoguerra nel quale già riecheggiavano gli insegnamenti della scuola americana tesi a iniettare robuste dosi di pedagogia "democratica" nel complicato processo di defascistizzazione del sapere; alle esperienze nelle realtà profonde del malessere barbaricino (da cui più avanti nacque il fortunato volume Le bacchette di Lula, riedito recentemente da Ilisso con l'originale e appassionata prefazione dell'amico fraterno Gianni Rodari); al trasferimento a Roma e all'immersione nella degradata realtà delle borgate. È in questo periodo, siamo negli anni '60, che Bernardini si avvicina alle istanze della pedagogia popolare di Célestin Freinet, elaborate in Francia e approfondite in Italia dal Movimento di cooperazione educativa e da personalità quali Mario Lodi, Giuseppe Tamagnini e Bruno Ciari. Un'adesione che non fu solo rinnovamento di prassi metodologiche e tecniche operative, peraltro fondamentale nel rigettare la pratica verticale e meramente trasmissiva del sapere da docente a discente, ma anche precisa scelta di campo. Una scelta, per quest'uomo mite ma capace di sgretolare ogni convenzione e ogni costrizione a colpi di maglio, a cui è rimasto sempre fedele. Maestro dalla parte dei più sfortunati, degli esclusi, di quelli che il Don Milani di Lettera a una professoressa denunciava come vittime del meccanismo infernale attraverso il quale la scuola pubblica perpetuava e riproduceva la discriminazione e lo svantaggio delle classi sociali più deboli. Quanto sia stata netta questa scelta di campo, e quanto sia stata significativa e pregnante l'azione di Albino Bernardini a partire dagli ultimi anni '60, lo si colse quando il suo modo di fare scuola e la realtà dei suoi alunni borgatari, i "malestanti" descritti in Un anno a Pietralata (primo suo libro pubblicato, ai quali ne seguirono un'altra decina in parte dedicati alle esperienze vive nel mondo della scuola e in parte alla narrativa per ragazzi), bucarono gli schermi televisivi nello sceneggiato interpretato da Bruno Cirino. Perché per la prima volta l'universo muto e minore dei bambini diseredati, di coloro ai quali la scuola italiana non dava quelle risposte educative pure previste per dettato costituzionale, riemergeva dalle nebbie del ghetto nel quale era stato sino ad allora relegato. Dimostrando di nutrire grandi aspirazioni. Di avere fame e sete di riscatto. Di saper cogliere nella scuola, se la scuola si metteva al servizio dei più deboli con la capacità di ascoltare e di capire (più che di sentenziare e selezionare), tutto il patrimonio di opportunità utile a riscrivere il proprio destino. Certo erano anni di profondi mutamenti. Anni un cui si dissolvevano le classi differenziali. In cui veniva richiesta a gran voce pari dignità per gli alunni diversamente abili. In cui il bambino, a prescindere dalla sua estrazione economica e sociale, veniva chiamato a diventare finalmente artefice del proprio processo educativo. Ciò che però lo sceneggiato di Vittorio de Seta riuscì a veicolare, ottenendo un enorme successo di pubblico, fu sicuramente anche una nuova/rinnovata figura di maestro ideale. Un maestro finalmente tanto lontano dalle leziosità ottocentesche di De Amicis, così restie a rimuoversi dall'immaginario collettivo, quanto dai dickensoniani e giustificatissimi strali di Carlo Lorenzini-Collodi ("i pedagoghi e i maestri di scuola, queste macchie nere e malinconiche che rattristano l'orizzonte sereno della prima fanciullezza"). Un maestro che aveva in sé qualcosa dell'incorrotta gentilezza del "Re dei bambini" di Acheng e insieme del rigore monastico del giovane Pasolini nell'improvvisata scuola di Versuta; della dura coerenza di Don Milani e insieme della delicatezza della professoressa di Pawel Huelle e della scanzonata visionarietà del supplente di Silvio d'Arzo nel Premiato Collegio Minerva. Un maestro, Bruno Cirino/Albino Bernardini, finalmente capace di piegarsi a statura di bambino, dei suoi bisogni e dei suoi punti di vista, per meglio accompagnarlo in quel difficile "cammina cammina" che è l'affacciarsi alla vita. Per tutto questo, e per tanto altro ancora, il vecchio Maestro di Pietralata riceverà la laurea honoris causa all'Università di Cagliari, discutendo la tesi "Riflessioni sulla Scuola di Base". E anche se oggi per il mondo dell'educazione e della scuola mala tempora currunt, tra infortuni accademici, reazionarie riforme imposte dall'alto e continui svilimenti di quello che resta il "mestiere" più bello del mondo, non saranno comunque in pochi ad alzare il calice in suo onore e a stargli idealmente vicino. 

Alberto Melis

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