mercoledì 8 aprile 2015

Lo schiaffo di Strasburgo, il rischio della beffa - Enrica Bartesaghi, Lorenzo Guadagnucci

La sentenza della Corte di Strasburgo è uno schiaffo alle istituzioni italiane. Uno schiaffo che colpisce la polizia di Stato e i governi che si sono succeduti in questi anni, colpevoli per le torture del G8 di Genova e – cosa ancora più grave – per la mancata risposta democratica degli anni a  venire.

È uno schiaffo che dovrebbe risvegliare un paese intorpidito e fermare un'involuzione morale e istituzionale che pare inarrestabile. Molti ora invocano la rapida approvazione di “una legge sulla tortura”. Benissimo, ma attenzione: non può essere una legge qualsiasi; dev'essere una buona legge, in linea con gli standard internazionali e adatta al contesto italiano. Non può quindi essere la brutta legge attualmente in discussione in Parlamento.

L'Italia ha bisogno di una legge che indichi la tortura come reato specifico del pubblico ufficiale, che escluda la prescrizione, che preveda un fondo per il sostegno alle vittime del reato. In passato il Comitato europeo di prevenzione della tortura e il presidente della Cassazione – come riportato dalla sentenza di Strasburgo – avevano dato precise indicazioni in tale senso.
Ma il Parlamento italiano ha svuotato il testo di legge iniziale fino ad arrivare ad una formulazione del tutto inadeguata, con la tortura che diventa un reato generico e soggetto a prescrizione. Sarebbe una legge beffa. La sentenza della Corte sul ricorso di Arnaldo Cestaro dev'essere accolta come un forte invito a cambiare il testo di legge e approvarlo in tempi rapidi e certi.
 
La Corte nella sua sentenza rimarca anche gli ostacoli frapposti dalla polizia di Stato all'azione giudiziaria e l'inadeguatezza strutturale dell'ordinamento italiano. Noi non dimentichiamo che dal 2001 in poi chi ideò e realizzò l'operazione Diaz è stato protetto, vezzeggiato, promosso.
 
Le condanne definitive del 2012 sono state un lampo di civiltà in una buia notte della protervia, una lunga notte senza diritto e senza morale. Ora è difficile rimediare, perché il degrado della cultura democratica è stato profondo, dentro le forze di polizia e anche in parlamento.
 
Per risalire la china si può cominciare introducendo – subito – l'obbligo per gli agenti di pubblica sicurezza di indossare un codice di riconoscimento sulle divise (una piccola norma di civiltà) e avviando una discussione vera, onesta, attorno a una nuova, urgente riforma democratica delle forze di polizie.
 
Solo così lo schiaffo che arriva da Strasburgo potrà risultare utile al nostro sventurato Paese. 
 
* Enrica Bartesaghi, Lorenzo Guadagnucci – Comitato Verità e Giustizia per Genova 

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