venerdì 13 marzo 2015

Usa, il sogno vicino all'esplosione - Alessandro Portelli

C’è una clas­sica poe­sia di Lang­ston Hughes, il grande poeta afroa­me­ri­cano, che domanda: che suc­cede a un sogno dif­fe­rito? Avviz­zi­sce come un acino d’uva al sole, si afflo­scia, mar­ci­sce – o esplode? A Fer­gu­son, il sogno ame­ri­cano acca­rez­zato da Mar­tin Luther e ven­ti­lato dall’elezione di Barack Obama sta infine esplo­dendo. Un altro omi­ci­dio di poli­zia, nel giro di 24 ore, si è aggiunto ad Atlanta alla defi­ni­tiva impu­nità di chi ha ucciso Michael Brown: come a Los Ange­les nel 19992, l’esplosione non avviene dopo l’atto di vio­lenza, ma dopo che le isti­tu­zioni l’hanno san­cito e cancellato.
La rivolta di Los Ange­les nel 1992 non esplose dopo la basto­na­tura di Rod­ney King ma dopo l’assoluzione dei poli­ziotti respon­sa­bili. Non c’è stata rispo­sta vio­lenta a Fer­gu­son dopo la morte di Brown, ma il ver­detto uffi­ciale che ha ne negato la matrice raz­zi­sta è stato quello che fatto tra­boc­care il vaso: per­ché qui non è più que­stione solo del raz­zi­smo ende­mico nelle forze di poli­zia ma della com­pli­cità di tutte le isti­tu­zioni: i tri­bu­nali, il governo, l’America intera sono inca­paci di garan­tire non dico la parità ma almeno la sicu­rezza ele­men­tare della popo­la­zione afroamericana.
Pos­siamo aspet­tarci adesso le solite rea­zioni scon­tate: no alla vio­lenza, gesti del genere sono con­tro­pro­du­centi… È pro­ba­bile che ancora una volta Barack Obama si tro­verà messo nell’angolo: ine­vi­ta­bil­mente, dovrà stig­ma­tiz­zare la vio­lenza, espri­mere soli­da­rietà ai due poli­ziotti feriti (com­po­nenti di una strut­tura uffi­cial­mente rico­no­sciuta, que­sta sì, come raz­zi­sta). e non riu­scirà a fare niente per assi­cu­rare i diritti della stesa gente che lo ha fatto eleg­gere – se no, rischia che qual­cuno ritiri fuori ancora una volta nei suoi con­fronti la lita­nia del “raz­zi­smo all’incontrario”.
Ma la sto­ria qui è diversa dal gesto indi­vi­duale che ha ucciso due poli­ziotti a New York qual­che tempo fa. Qui sono mem­bri di una comu­nità che ha pro­vato fin­ché ha potuto a man­te­nere la calma, e che adesso non ne pos­sono più; quelli che hanno spa­rato pos­sono non essere i più lucidi e respon­sa­bili ma incar­nano uno stato d’animo che va ben oltre loro stessi. Come disse Mal­colm X a Selma: l’America si deve ren­dere conto che se non dà ascolto alla lotta non vio­lenta di Mar­tin Luther King, avrà a che fare con me. Sessant’anni di movi­mento dei diritti civili, le rivolte urbane di Watts di Har­lem e di innu­me­re­voli altri ghetti, la cre­scita di un ceto medio e pro­fes­sio­nale afroa­me­ri­cano, l’elezione di un pre­si­dente nero – dopo tutto que­sto, sem­bra che la sto­ria si ripeta ancora come se non fosse suc­cesso niente, come se solo l’esplosione vio­lenta della rab­bia potesse far capire all’America in che stato si trova. Perché l’America è in guerra e rifiuta di accor­ger­sene: a guar­dare quello che dicono gli opi­nio­ni­sti in TV, si tratta solo di pro­blemi locali e inci­denti isolati.
Una catena infi­nita di «inci­denti iso­lati». Un con­teg­gio pro­ba­bil­mente sot­to­sti­mato dà la cifra di 3300 per­sone uccise dalla poli­zia fra mag­gio 2013 e feb­braio 2015. La pagina face­book Kil­led by Police elenca con nomi e foto 33 morti (quasi tutti neri, latini o nativi ame­ri­cani) nei primi 15 giorni di que­sto mese di marzo 2015, più di due al giorno. In 15 anni di guerra in Iraq e Afgha­ni­stan i caduti ame­ri­cani sono stati 5281: circa 350 l’anno, con­tro i 400 l’anno che secondo i dati uffi­ciali gover­na­tivi, sicu­ra­mente sot­to­sti­mati, sono gli ame­ri­cani uccisi dalla poli­zia. Ave­vano ragione quelli che dice­vano che un gio­vane nero ha più pos­si­bi­lità di essere ucciso nel suo quar­tiere che in Afghanistan.
Nel frat­tempo, tutta l’America dei par­titi, dei media e delle isti­tu­zioni è scon­volta da un nuovo «scan­dalo»: pare che Hil­lary Clin­ton abbia man­dato email uffi­ciali con il suo account per­so­nale. Sono que­ste le cose impor­tanti dav­vero. E l’acino d’uva con­ti­nua a marcire.

2 commenti:

  1. Son sempre più dell'idea che la questione razziale in america sia stata nascosta negli ultimi 20-30 anni, dietro altri problemi o dietro altre (supposte) soluzioni: prima la crescita economica, poi la crisi.
    Così, di fatto, ai neri si son fatte alcune concessioni, piuttosto minimali, ma il sistema (fatto di cultura, di educazione e di un raddicato senso di "differenza") non è stato poi scalfito.
    Ricordi "ogni maledetta domenica", quando il quarterback chiede quanti allenatori o proprietari di squadre di coloro esistano? Ecco, in fondo siamo sempre lì: i neri come comunità esistono solo "nei bassifondi" e persino Obama non resta altro che un puntino isolato, mentre i problemi sono difusi ovunque...
    Ma può l'America affrontare veramente il problema come negli anni '60? La mia impressione è che col reaganismo e la regressione delle politiche pubbliche, questa possibilità sia andata perduta: chi, oggi, invierebbe la Guardia Nazionale in Alabama?

    ps: ti ho citato in questo post....
    http://discutibili.com/2015/03/16/16-marzo/

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    1. grazie per il bravo, intanto...

      dei neri molti si ricordano quando portano medaglie, e a qualcuno gli fanno fare il presidente, ma ogni bel gioco dura poco, e sopratutto deve restare ingabbiato, il discorso di Obama a Selma è davvero bello.

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