domenica 21 settembre 2014

22 settembre 1832: relazione del viceré di Sardegna, marchese di Yenne, sulle «chiudende»

uno dei tanti criminali attacchi ai beni comuni, quando ancora non si chiamavano così.

ecco il testo del famoso (almeno in Sardegna) “Editto delle Chiudende”:

Regio Editto Sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della Corona, e sopra i tabacchi, nel Regno di Sardegna. In data del 6 d’ottobre 1820, Torino Il Re Carlo Emanuele, Avolo mio d’immortal memoria, fra le molte sue cure pel rifiorimento della Sardegna, manifestò il pensiero di favorire le chiusure dei terreni; principalissimo mezzo d’assicurare, ed estendere la proprietà, e così promuovere l’agricoltura. Convinti Noi di questa verità, già soggiornanti nell’Isola, Ci siamo applicati ad incoraggiare sì gran miglioramento, e l’anno scorso abbiamo poi creduto bene d’annunziare la legge, che si stava d’ordine nostro preparando. Ora col parere del Nostro Consiglio, di certa Nostra scienza, ed autorità Sovrana, ordiniamo, e stabiliamo in forza di legge quanto segue.
  • Qualunque proprietario potrà liberamente chiudere di siepe, o di muro, o vallar di fossa, qualunque suo terreno non soggetto a servitù di pascolo, di passaggio, di fontana, o d’abbeveratoio.
  • Quanto ai terreni soggetti a servitù di pascolo comune, il proprietario, volendo far chiusura, o fossa, presenterà la sua domanda al Prefetto, il quale nella sua qualità d’Intendente, sentito, in Consiglio raddoppiato, il voto delle Comunità interessate, procederà secondo le norme, che saranno stabilite.
  • Qualunque Comune potrà esercitare sopra i terreni, che gli spettano in proprietà, gli stessi diritti assicurati ad ogni proprietario dall’art. 1 della presente legge.
  • Il terreno di proprietà del Comune trovandosi nel caso indicato nell’art.II, la deliberazione dovrà essere presa parimenti in Consiglio raddoppiato, e sottoposta al Prefetto nella sua qualità d’Intendente, per aspettarne le superiori deliberazioni.
  • Colle stesse forme potrà il Comune, invece di chiudere i terreni di sua proprietà, deliberare il progetto di ripartirli per uguali porzioni fra Capi di Casa, o di venderli, o di darli a fitto; il tutto con quelle riserve, o condizioni, che saranno determinate a vantaggio degli stessi Comuni, e del Regno.
  • Quando fra un anno, dopo la pubblicazione della presente legge, il Comune non abbia deliberato il progetto di chiudere, o ripartire, o vendere, o dare a fitto, il riparto potrà essere chiesto davanti al Prefetto dai Capi di casa, in numero almeno di tre.
  • I terreni propri della Corona, e fra questi i derelitti, e gli altri vacanti, potranno essere venduti, o dati a fitto, o ceduti gratuitamente, od altrimenti assegnati in un modo conforme alle massime stabilite pel riparto dei terreni Comunali.
  • In qualunque terreno chiuso sarà libera qualunque coltivazione, compresa quella del tabacco.
  • Sarà libera in tutto il Regno la vendita delle foglie di tabacco, la manifattura, la vendita e l’uscita del tabacco, mediante il pagamento dei dazi che saranno stabiliti.
Data dal Nostro Castello di Stupinigi, l’anno del Signore mille ottocento venti, e del Regno Nostro il decimonono, addì sei del mese d’ottobre. Vittorio Emanuele
da qui 

le cose andarono molto peggio del previsto: L’ex viceré di Sardegna, marchese di Yenne, scrisse due relazioni, la prima il 22 settembre 1832, la seconda il successivo 6 ottobre, che contengono una cronaca sufficientemente istruttiva degli effetti dell’Editto: «È veramente eccessivo l’abuso che fecesi delle chiudende da alcuni proprietari. Siffatto abuso è quasi generale. Si chiusero a muro ed a siepe dei boschi ghiandiferi, si chiusero al piano e ai monti i pascoli migliori per “obbligare i pastori a pagarne un altissimo fitto” e si incorporarono perfino le pubbliche fonti e gli abbeveratoi per meglio dettare ai medesimi la legge». Rincarando la dose, aggiunse che l’Editto «giovò nella sua esecuzione soltanto ai ricchi e potenti». Sempre dalla relazione del viceré si apprende (per aver egli assunto «le più accurate informazioni») che gli incidenti cominciarono a Gavoi, con l’abbattimento di tre chiusi e con «discussioni fra li demolitori e danneggiati»; seguitarono poi alla vicina Mamoiada e poi a Nuoro, Fonni, Bitti ed altri paesi, «portando in tutti codesti luoghi devastamenti, incendi e rovine, e segnatamente in Benetutti, il di cui aspetto mette orrore al passeggiero».
da qui   

…Scrive Enea Beccu nel suo libro “Tra cronaca e storia le vicende del patrimonio boschivo della Sardegna”: «Se il fine fu lodevole, non altrettanto lo fu l’applicazione pratica della norma, che ebbe effetti devastanti in molte campagne. Le concessioni di terreno da destinare a coltivazioni specializzate, oliveti, vigne, cereali, o a pascolo, dovevano essere di superficie limitata, e venivano accordate con la clausola che fossero lasciate libere alcune aree di uso comune: la strada per il passaggio del bestiame rude, quella per il passaggio del bestiame domestico e dei carri, il pubblico abbeveratoio e la vicina fonte perenne. In realtà poi le cose andarono diversamente e si verificarono tanti abusi: furono recintate anche superfici considerevoli, con o senza l’autorizzazione prescritta, inglobati abbeveratoi e strade, sottratti all’uso comunitario preziosi pascoli ghiandiferi, e ciò finì per generare molti disordini tra la popolazione rurale povera e già esasperata dalle angherie baronali. I “prinzipales”, i notabili dei singoli villaggi, le persone benestanti “le quali ad altro non pensano che a chiudere terreni per usurparne dalla Comunità e far necessitare l’abbeveraggio del bestiame nei fiumi, con il qual mezzo nell’invernale stagione e nella primavera si fanno pagare a caro prezzo dai pastori il pascolo”, approfittarono dell’Editto per impadronirsi di vaste terre d’uso comune e questo sfociò in disordini, devastazioni ed incendi, molti dei quali riguardarono aree boscate. Queste privatizzazioni incisero sulla disponibilità – se non a prezzi esosi – dei pascoli, ed anche delle ghiande occorrenti per l’allevamento dei maiali domestici e determinarono, in qualche caso, una riduzione di due terzi del loro numero»…
da qui  

Melchiorre Murenu scrisse una poesia diventata famosa: 
«Tancas serradas a muru 
fattas a s’afferra afferra; 
chi su chelu fid in terra
l’haiant serradu puru.  

 Pascoli chiusi con muri 
fatti all’arraffa arraffa; 
se il cielo fosse stato in terra 
avrebbero recintato anche quello. 
(Tancas serradas a muru -  Melchiorre Murenu)  

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