mercoledì 6 agosto 2014

…e polvere ritornerai – Paola Caridi

Sabbia. È tutto quello che resta. Ci è voluto così poco per buttare giù quello che era, veramente, un castello di sabbia. Un castello, e cioè un bell’edificio. Pulito, accogliente, pieno di sole. Verde, perché alimentato a pannelli solari, che aiutavano non solo il ‘nostro’ castello ma anche le case del contado. Le povere case del contado. Dentro c’era persino un giardino, innaffiato attraverso un sistema di riciclo delle acque. E nel castello, fenomeno davvero singolare, faceva fresco. Anche di giugno, quando girai per le sue stanze.
Il castello di sabbia non c’è più. È ridiventato polvere, perché sul castello sono arrivate le cannonate che hanno distrutto questi lunghi, grandi salsicciotti di tessuto particolare pieni di sabbia e disposti come una serpentina. Erano i muri del castello di sabbia: una ingegnosa costruzione realizzata da Vento di Terra, la stessa ong della Scuola di Gomme di Khan El Akhmar, appena fuori da Gerusalemme. Ecosostenibile, bella, pulita, la scuoletta di Umm al Nasser ospitava 130 bambini palestinesi, ed era ben di più di un luogo di istruzione e sostegno ai bambini. Era il punto di riferimenti per una zona, quella nell’area nord della Striscia di Gaza, appena a ridosso del lungo e alto muro di cemento armato che divide Gaza da Israele, più vulnerabile di altre. Una scuola-gioiello accanto al quartiere-martire di Beit Hanoun, che ho avuto l’onore e la fortuna e il piacere di visitare.
Il castello dei sacchi di sabbia non ci è voluto molto a buttarlo giù. Qualche cannonata tirata dall’esercito israeliano il 20 luglio scorso, ed è stato raso al suolo. La sua fragilità era la sua forza culturale. Il suo era un simbolo da eliminare, come già avevano dimostrato di poter fare i caccia nel 2012. L’asilo era stato allora sfiorato dai bombardamenti israeliani. Bastava sporsi dal cancello della scuola per vedere quello che le bombe avevano provocato poco più in là. Scuotendo, appunto, una struttura che non poteva essere così pericolosa, visto com’era stato costruita.
Ora la scuola di Umm al Nasser non c’è più. La scuola di gomme di Khan El Akhmar è da sempre a rischio. E io mi chiedo che cosa faccia paura, di queste scuole. Cosa fa paura di una scuola? È una domanda per la quale pretendo una risposta, da noi italiani e dalla politica. Quelle scuole sono state tra i prodotti migliori delle nostre ong e della nostra Cooperazione: risultati di cui si conosce pochissimo, nel pubblico più largo. Risultati di cui sono certa conosca poco anche il Palazzo (esclusa Laura Boldrini, che era andata a visitarla, all’inizio di quest’anno).
Perché ci manca il coraggio di dire che il bombardamento della scuola di Umm al Nasser è uno scandalo e una vergogna? Polvere è ritornata, Umm al Nasser. E anche noi lo saremo un giorno. La memoria di questo gesto, però, è già diventato un seme. Triste, pericoloso e tragico. La strage degli innocenti di Gaza la pagheremo perché non abbiamo saputo difendere la dignità umana. Di ciascuno e di tutti, a Gaza, a Gerusalemme, a Tel Aviv, a Roma.

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