mercoledì 30 luglio 2014

Intervista a Ronnie Barkan, attivista anarchico

“Il fascismo in Israele sta uscendo allo scoperto. Non è la prima volta, perché questo società è stata costruita in questo modo”. Non usa mezzi termini, va diritto al nocciolo della questione, Ronnie Barkan.
Attivista e cofondatore dei gruppi Anarchists against the Wall e Boycott from Within, sulla questione israelo-palestinese, l’Occupazione, il Muro e l’assedio di Gaza ha sempre avuto una posizione chiara. 
Quello che succede in queste ore nella Striscia di Gaza “è un massacro, un genocidio, coerente con l’intento originario di pulizia etnica che il neonato Stato di Israele ha messo in pratica sin dal 1948. Ed ha portato avanti in 66 anni di espropri, uccisioni, attacchi indiscriminati, Occupazione, negazione dei diritti, in totale disprezzo delle norme internazionali e umanitarie”. 
E’ così che iniziamo una conversazione per capire che in che modo sta reagendo la società israeliana all’operazione “Bordo Protettivo” contro Gaza.
Un’offensiva che in 22 giorni ha causato (secondo dati in continuo aggiornamento) la morte di oltre 1200 persone, di cui l’85% civili e tra i quali circa 300 minori, e più di 7mila feriti. 
Vani i tentativi di mediazione internazionale, pochi e poco utili i cessate-il-fuoco messi in campo per permettere l’ingresso nella Striscia di medicinali, mentre il governo israeliano dichiara di non volersi fermare a breve. Ufficialmente “non prima che i tunnel costruiti da Hamas per connettersi con l’esterno non saranno distrutti completamente”. 
E se i governi, in particolare quelli occidentali, non mostrano una reale volontà di fare pressione sui vertici israeliani, le manifestazioni di solidarietà da parte di cittadini di tutto il mondo si ripetono ogni giorno. 
Anche in Israele, dove il 26 luglio scorso sera circa 5mila persone (Haaretz parla addirittura di 7mila) hanno riempito Rabin Square a Tel Aviv per protestare contro l’offensiva in corso e chiederne la fine immediata. 
Ma in quelle stesse strade erano presenti anche esponenti di estrema destra e gruppi neofascisti, accorsi per “disturbare e attaccare gli ‘amanti degli arabi’, come vengono definiti tutti coloro che esprimono idee umane”, spiega Ronnie. 
Secondo lui però, la manifestazione di Tel Aviv, la cui partecipazione ha sorpreso non pochi, in particolare per la sua composizione (dai cosiddetti “sionisti di sinistra” ai più radicali anti-sionisti), rappresenta ben poco di nuovo, “nonostante i numeri siano importanti, anche se non bisogna dimenticare che 3 anni fascesero in piazza più di 500mila persone, e non lo fecero certo in solidarietà con i palestinesi”. 
E aggiunge che “parallelamente, secondo un ultimo sondaggio, l’85% degli israeliani si oppone alla possibilità di una tregua e sostiene l’esercito. Ed è importante sottolineare il tipo di domanda a cui questa percentuale ha risposto ‘no’, ovvero: ‘sei d’accordo per una tregua?’. Che è molto diverso da chiedere ‘ti opponi all’operazione militare contro la Striscia di Gaza?’. Segno evidente che su quest’ultima domanda la risposta è già nota…”.
Eppure, resta il fatto che di manifestazioni del genere per fermare un attacco contro i palestinesi non se ne vedevano da tempo. 
Ronnie non ci sta, e in modo chiaro, netto, ripete che non si può guardare alla situazione attuale senza considerare tutto il contesto, così come precisa che la sua “opinione è diversa non solo da quella dei media mainstream ma anche da quella proveniente da oppositori del governo e delle politiche di Occupazione, come l’organizzazione Breaking the Silence' che io considero altrettanto complice”* 
“Il massacro della popolazione di Gaza, la crescita dei gruppi neo-fascisti non sono altro che un’espressione più fisica di quello che Israele è ed è sempre stato e che risale a oltre 70 anni fa. Alla creazione del nuovo ebreo, nell’impostazione sionista – un ebreo forte, coraggioso e lavoratore, in opposizione all’ebreo studioso e commerciante europeo – e che ha successivamente influenzato tutto il modo di pensare della società”.
Sono dunque, secondo Ronnie, solo due le novità a cui stiamo assistendo oggi: “I gruppi di estrema destra sono sempre esistiti, ma ora li vediamo in faccia, e si mostrano in tutta la loro brutalità. La seconda novità infatti è che in questi giorni chiunque venga considerato da loro ‘di sinistra’, o appunto ‘amante degli arabi’, ‘traditore’, viene individuato, disturbato e picchiato, mentre prima gli attacchi erano principalmente verbali”. 
“Figuriamoci invece cosa può accadere ai palestinesi, verso i quali si manifestano tendenze genocide. Sempre sabato scorso, a Gerusalemme due ragazzi sono stati brutalmente attaccati da circa 12 persone. Questo esempio parla da solo”, aggiunge.  
Secondo Ronnie “questi gruppi ‘sio-nazisti’-  concetto coniato alla fine degli anni’80 dal filosofo israelianoYeshayahu Leibowitz per riferirsi al presidente della Corte Suprema che dichiarò possibile, e dunque legale, la tortura negli interrogatori dei palestinesi – stanno mettendo in atto solo una nuova versione dei pogrom che venivano esercitati contro gli ebrei”. 
“Andare in giro per le strade, con spranghe e bottiglie di vetro, e cercare di individuare chiunque non sia ebreo, per dargli fastidio o per malmenarlo: è di questo che stiamo parlando. Sabato scorso ho avuto io stesso uno scontro, non solo verbale, con alcuni di loro”. 
Sta quindi mutando il clima anche a Tel Aviv? Alla domanda su come ha reagito la polizia, e se sia possibile capire se questi gruppi agiscono da soli o coordinati in qualche modo, Ronnie non perde la sua calma espositiva, nonostante l’urgenza di trovare una risposta. 
Per l’attivista “c’è poco di cui stupirsi se queste cose succedono nella ‘liberale’ Tel Aviv, una delle città piùgay-friendly al mondo, e altrettanto si può dire del comportamento della polizia, che ha continuato a mostrare un atteggiamento leggero nei confronti degli esponenti di estrema destra”.
Dopo la manifestazione di sabato gli arresti tra le loro fila “non sono stati neanche 10, e alcuni sono stati rilasciati subito dopo il fermo”. 
Riguardo l’eventualità che questi gruppi - 6 o 7 secondo quanto dichiarato alla nostra redazione dall’attivista Tamar Aviyah - agiscano da soli, o se abbiano legami o meno con il mondo politico, Ronnie afferma che non è molto rilevante, “dal momento che il loro agire da soldati li agevola: non sono individualisti, ragionano come un gruppo, con una mentalità militare e nazionalista”. 
“Noi dal canto nostro”, chiarisce Ronnie riferendosi a chi in questi giorni si sta organizzando in gruppi anti-fascisti, “partiamo con un approccio nonviolento, ma è normale che in questa situazione si è in battaglia, e quando ci siamo ritrovati di fronte ai fascisti abbiamo risposto anche fisicamente prima che la polizia ci separasse”. 
Di fronte a una violenza così descritta, non sarebbe dunque da considerare positiva una manifestazione di simili proporzioni come quella di Tel Aviv, dal punto di vista di chi si oppone all’Occupazione, alle politiche di discriminazione dei palestinesi e, in questo momento, all’ennesima offensiva su Gaza? 
Non la pensa esattamente così Ronnie, che ribadisce la sua diffidenza e opposizione anche nei confronti dei vari “David Grossman, Peace Now, i politici e i sostenitori del Meretz*, che sono nemici ancor più pericolosi dei Lieberman e dei Netanyahu. Perché non usano come gli altri un linguaggio apertamente fascista, ma parlano di diritti umani, di pace. E usano questi argomenti per proteggere il sistema di apartheid, l’esercito, l’Occupazione. Secondo me non sono da considerare parte di una soluzione possibile, di cui si potrà parlare seriamente solo una volta posto fine all’apartheid”.
Ciononostante, “è stato interessante vedere in piazza i sionisti-liberali, perché interessante è constatare che in momenti così drammatici e bui queste persone vengono costrette a schierarsi”. 
A suo dire, le pressioni non vengono soltanto da “un minimo di umanità da mostrare nei confronti del massacro di Gaza, ma perché si rendono conto che il loro atteggiamento non attecchisce più, neanche all’esterno, dove invece cresce per fortuna sempre di più un movimento chiaro e preciso: quello del boicottaggio verso Israele (BDS, ndr)”. 
“E’ il BDS, secondo me, che obbliga le persone ad alzarsi dal comodo divano dove guardano la TV mentre la gente muore. E’ il BDS che sta facendo capire agli israeliani che qualcosa sta cambiando. Non è un caso che il governo la consideri una minaccia strategica, e che l’AIPAC, la più grande lobby pro-israeliana negli Stati Uniti, si sia schierata contro la legge Anti-Boicottaggio, perché a suo parere dava al BDS troppa visibilità”. 
BDS per Ronnie significa infatti una delle attività che lo tiene impegnato “ogni giorno, per far capire agli israeliani, tramite l’organizzazione Boycott from Within, che questa è la via che cerca ancora giustizia, chiedendo che i diritti dei palestinesi vengano riconosciuti e applicati”. 
Perché se non si affrontano i problemi alla radice, ovvero parlando di diritto al Ritorno, di fine dell’Occupazione e dell’assedio di Gaza, dell’abbattimento del Muro, non si andrà da nessuna parte. 
“Non si può essere contemporaneamente morali e sionisti. Chi vuole farlo si trova di fronte a un dilemma più grande che mai. Umano, morale o sionista, cosa si vuole essere? Se questa situazione può dunque contribuire a far scegliere le persone allora potrà essere considerata positiva, altrimenti ci sarà ancora di più da lavorare”.
E, come affermato da un altro “storico” attivista israeliano, Michel Warschawski, forse è già troppo tardi.

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