mercoledì 11 dicembre 2013

Lettere dai centri di identificazione ed espulsione (CIE)

Cari italiani noi siamo dei clandestini, siamo detenuti al CIE di via Corelli a Milano e stiamo facendo un sciopero della fame dal 03/03/2010 perché i tempi di detenzione per identificare le persone sono troppo lunghi. Dovete immaginare chiusi e chiuse per 180 giorni, 24 ore su 24, senza aver commesso nessun reato e senza nulla da fare per far passare il tempo. Ma soprattutto, noi clandestini siamo condannati all’ergastolo senza appello… Dopo 180 gg di CIE ti danno un foglio di via con 5 giorni di tempo per lasciare il territorio italiano e se ti beccano per strada, rischi il carcere ordinario (da 6 mesi a 1 anno). Ma in 5 giorni come fai a trovare i soldi per lasciare il territorio italiano? In questo periodo di sciopero il cibo che porta la Sodexo fa veramente schifo; per le persone malate non ci sono medicine; i bagni sono sempre sporchi e intasati e l’acqua del cesso esce fino al corridoio. Gli infermieri ci trattano male, allo stesso modo dei poliziotti e della croce rossa italiana. E poi ci dicono che siamo clandestini ed è questo che ci spetta… Ci danno sedativi per stare tranquilli, ma la depressione di chi prende queste gocce é fortissima; sono tanti che piangono disperati, perché non capiscono perché devono subire tutto questo. Noi siamo persone, ma loro non pensano questo e ci umiliano, ridono della nostra situazione, ci picchiano. Noi rispondiamo continuando a fare lo sciopero della fame. Fino ad ora lo abbiamo fatto in più di 80 persone. Attualmente ci siamo organizzati con uno sciopero a staffetta e siamo in 34 a farlo: 14 della sezione maschile, 10 tra le donne e 10 tra le trans. Abbiamo già perso ciascuno dei noi da 5 a 9 kili. Stiamo stufi di questa vita da clandestini. in tutto questo sciopero non hanno fatto nulla… noi stiamo lottando ma da soli e abbiamo bisogno che la gente sappia quello che lo stato fa con noi.

“Se per caso decidi di fare lo sciopero della fame viene l’ispettore che ti fa paura dicendo che lo sciopero lo puoi anche fare perché solo da morto potrai uscire da qui – è scritto nel documento –. A chi leggerà queste pagine noi chiediamo di dirci se per qualunque motivo noi siamo ritenuti criminali, terroristi o altro. Abbiamo chiesto aiuto a questo paese e ora stiamo peggio di prima. Ci trattano da schiavi. Fanno uscire chi vogliono e tengono dentro chi vogliono”. 
All’inizio della lettera, chi scrive racconta le aspettative che aveva imbarcandosi verso l’Europa. “Sono fuggito dal mio Paese, la Tunisia, a causa di numerosi problemi che mi sono successi e qui ho trovato molta gente anch’essa fuggita come me da problemi politici e sociali. Qui in Italia, al contrario di quanto ci aspettassimo, al posto di ricevere il tanto desiderato aiuto, ci siamo imbattuti in altri grossi problemi, e ciò accade soprattutto al centro di Bari Palese”. 
Il resoconto prosegue descrivendo le misure di sorveglianza. “Veniamo trattati come assassini o terroristi. Il luogo è completamente circondato dall’esercito che ci osserva e ci tiene sotto controllo anche dalle torri e dalle pareti, senza mettere in conto che siamo rinchiusi da delle enormi porte di ferro molto alte e controllati a distanza da delle telecamere di videosorveglianza. Siamo circondati da tre muri alti circa 15 metri l’uno, di ferro e di cemento armato. All’interno di questo centro-prigione non abbiamo nessun diritto. Questo non è un centro ma un vero e proprio carcere dove tengono rinchiuse persone senza nessuna motivazione, l’unico loro reato è stato quello di aver superato la frontiera nascosti per giusta causa”.
L’autore della lettera denuncia anche la difficoltà di accedere alle informazioni sulla propria detenzione. “Se fai richiesta scritta per parlare con un assistente sociale devi attendere come minimo almeno quattro o cinque giorni prima che tu abbia la possibilità di parlarci. All’incontro con lui le domande sono sempre le stesse e sono del tipo perché siamo qua, quando usciamo e a che punto è arrivata la nostra pratica, e ovviamente le risposte sono sempre le stesse e infatti la solita scusa loro è che la pratica è dal giudice e che sarà lui a decidere. E anche il giudice non si sa mai quando poterlo incontrare a costo di attendere giorni o addirittura mesi, e quando finalmente lo incontri lui ti consegna una carta in cui c’è una proroga della detenzione di trenta giorni e ti chiede di firmare. Nel caso tu rifiutassi o chiedessi il motivo della tua firma, ti convince dicendo che è solo per finire la pratica e fare i propri accertamenti”. Secondo il giovane tunisino, nel Cie subiscono una lunga detenzione anche persone perfettamente identificabili. “C’è gente che è qui da sei mesi e non è stata ancora identificata. In sintesi siamo diventati come animali da commercio e ci usano quanto più restiamo rinchiusi qui in modo da guadagnare sempre più denaro – racconta il testimone -. Ci sono altre persone che hanno sia la carta d’identità che il passaporto per tornare al proprio paese e nonostante ciò non sono state identificate e nessuno vuole liberarli. Mi chiedo spesso se ci libereranno presto oppure dovremo restare ancora qui rinchiusi almeno finché non venga un altro gruppo di sventurati a prendere il nostro posto. Credo che sia l’unico modo per uscire anche perché non gli conviene affatto tenere il centro vuoto”.

“Qui dentro ci danno da mangiare il cibo scaduto, le celle dove dormiamo hanno materassi vecchi e quindi scegliamo di dormire per terra, tanti tra di noi hanno la scabbia e la doccia e i bagni non funzionano”. È l’apertura di un comunicato scritto da un gruppo di ospiti del Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria (Roma) e diffuso da Radio Onda Rossa. Nel comunicato si denunciano pestaggi e si dà una versione della rivolta del 3 giugno scorso.
“Quando chiediamo di andare in infermeria perché stiamo male, l’Auxilium (la cooperativa subentrata alla Croce Rossa nella gestione del centro n.d.r.) ci costringe ad aspettare e se insistiamo una banda di 8-9 poliziotti ci chiude in una stanza con le manette, s’infilano i guanti per non lasciare traccia e ci picchiano forte. Per fare la barba devi fare una domandina. Non possiamo avere la lametta. Ci chiamano ospiti ma siamo detenuti. Quello che ci domandiamo è perché dopo il carcere dobbiamo andare in questi centri e dopo che abbiamo scontato una pena dobbiamo stare sei mesi in questi posti senza capire il perché”.
La sera del 3 giugno, secondo il comunicato, è cominciata così, a causa di uno sciopero della fame: Ci hanno detto “se non mangi non prendi terapie” ma qui ci sono persone con malattie gravi come il diabete e se non mangiano e si curano muoiono. Uno di noi è andato a parlare con loro e l’hanno portato dentro una stanza davanti l’infermeria dove non ci sono telecamere e l’hanno picchiato. Così la gente ha iniziato ad urlare di lasciarlo stare. In quel momento sono entrati quasi 50 poliziotti con il loro materiale e con un oggetto elettrico che quando tocca la gente, la gente cade per terra. Le guardie si sono tutte spostate sopra il tetto vicino la caserma dei carabinieri qui dentro, dove sta il campo da calcio. Dalla parte sinistra sono entrati altri 50 poliziotti. Quando abbiamo visto poliziotti, militari, carabinieri, polizia, finanza e squadra mobile ufficio stranieri (che sono i più infami) sui tetti, uno di noi ha cercato di capire perché stavano picchiando il ragazzo nella stanza. “Vattene via sporco...” un poliziotto ha risposto così. In quel momento siamo saliti tutti sopra le sbarre e qualcuno ha bruciato un materasso e quindi i poliziotti si sono spaventati e sono andati fuori le mura per prendere qualcuno che scappava. Da quella notte non ci hanno fatto mangiare né prendere medicine per due giorni.
Abbiamo preso un rubinetto vecchio e abbiamo spaccato la porta per uscire e quando la polizia ha visto che la porta era aperta hanno preso caschi e manganelli e hanno picchiato il più giovane, un egiziano. L’hanno fatto cadere per terra e ci hanno picchiati tutti, hanno rotto la gamba di un algerino, hanno lanciato lacrimogeni e hanno detto che noi abbiamo fatto quel fumo per non far vedere niente alle telecamere”.

Lettera dei Reclusi di Gradisca
Noi stiamo scioperando perché il trattamento è carcerario, abbiamo soltanto due ore d’aria al giorno, una al mattino e una la sera, siamo tutti rinchiusi qui dentro, non possiamo uscire.
Ci sono tre minorenni qui dentro, sono tunisini e hanno sedici anni, ci chiediamo come mai li hanno messi qui se sono minorenni?
Il cibo fa schifo, non si può mangiare, ci sono pezzi di unghie, capelli, insetti. Siamo abbandonati, nessuno si interessa di noi, siamo in condizioni disumane.
La polizia spesso entra e picchia. Circa tre mesi fa con una manganellata hanno fatto saltare un occhio ad un ragazzo, poi l’hanno rilasciato perché stava male e non volevano casini, e quando è uscito, senza documenti non poteva più fare nulla contro chi gli aveva fatto perdere l’occhio.
Ci trattano come delle bestie.
Alcuni operatori [della cooperativa Connecting People che gestisce il Centro, n.d.r.] usano delle prepotenze, ci trattano male, ci provocano, ci insultano per aspettare la nostra reazione, così poi sperano di mandarci in galera, tanto danno sempre ragione a loro.
C'’è un ragazzo in isolamento che ha mangiato le sue feci. L'’hanno portato in ospedale e l’hanno riportato dentro. È da questa mattina che lo sentiamo urlare, nessuno è andato a vederlo, se non un operatore che l'’ha trattato in malo modo.
Il direttore fa delle promesse quando ci sono delle rivolte, poi passano le settimane e non cambia mai niente.
Da due giorni siamo in sciopero della fame e il medico non è mai entrato per pesarci o per fare i controlli, entra solo al mattino per dare le terapie.
Continueremo a scioperare finché non cambieranno le cose, perché sei mesi sono troppi e le condizioni troppo disumane.
Questo non è un posto ma un incubo, perché siamo nella merda, è assurdo che si rimanga in queste gabbie. Sappiamo che molta gente sa della esistenza di questi posti e di come viviamo. E ci si chiede, ma è possibile che le persone solo perché non hanno un pezzo di carta debbano essere
rinchiuse per sei mesi della loro vita?
Reclusi del Cie di Gradisca

Lettera a nome di cinque persone detenute nel Cie di Ponte Galeria a Roma, in merito al decreto del ministro Maroni (in discussione in questi giorni al Parlamento) che allunga a diciotto mesi la detenzione nei Cie
LA LETTERA. Scrivo a nome di cinque persone che sono detenute qua nel centro di Ponte Galeria a Roma. Siamo quasi 200 uomini e 50 donne detenuti al centro di Ponte Galeria. Qua siamo detenuti come colpevoli, come persone che hanno commesso un reato. Perché sei mesi? è un periodo troppo lungo. E ora vogliono aumentare a diciotto mesi.
Ma quelli che fanno queste leggi non sanno niente della nostra situazione e della nostra sofferenza. Soprattutto quel partito della Lega Nord, quello del ministro Maroni. La corte europea ha tolto l’articolo 14 della legge Bossi-Fini e questa è una sconfitta per Maroni. E allora lui vuole fare una rivincita con un’altra legge che ammazza la gente: vuole convincere gli italiani che è per motivi di sicurezza ma è una legge fatta per un motivo fascista e basta.
Qua c’è gente per bene e gente per male, come in tutto il mondo. Anche in Veneto, da dove viene lui, ci sono tanti stranieri che lavorano nell’agricoltura e nelle fabbriche. A Milano e a Brescia il lavoro duro lo fanno gli stranieri. Noi non siamo venuti qua dalla Tunisia per fare i delinquenti. Una volta gli italiani hanno fatto per primi l’immigrazione in America. Dicono che gli italiani sono mafiosi ma ci sono anche italiani per bene che hanno fatto la storia in America.
Noi crediamo all’Italia e all’Europa. Noi non siamo venuti per fare male. Io sono tunisino e sono scappato da una situazione disumana. Dopo la caduta del nostro presidente Ben Alì non è cambiato niente, tutti i giorni ci sono manifestazioni e la gente muore per strada. Abbiamo sentito che Maroni ha fatto un accordo col nuovo governo della Tunisia e rimandano lì la gente che arriva in Italia. Ma nei nostri paesi c’è la guerra civile e i rifugiati che arrivano dalla Libia sono tutti qui. Lì per noi non c’è niente da mangiare.
Ma noi amiamo l’Italia. Nei nostri paesi guardiamo RaiUno e tifiamo per le squadre italiane. Io sono nato nella città dove è nata Claudia Cardinale. Non abbiamo problemi con voi italiani. Noi veniamo perché sogniamo la libertà, come voi una volta sognavate l’America. E’ il nostro sogno e invece veniamo qua e troviamo un centro come questo a Ponte Galeria. Perché? noi non abbiamo commesso niente.
Ti dicono che dopo sei mesi esci, ma io sono venuto qua per migliorare, per cambiare, per guadagnare qualcosa per i nostri figli e per le nostre famiglie perché nel nostro paese c’è la povertà. E invece una mattina ti svegliano alle sei del mattino e entrano 20 persone coi guanti, ti portano in una stanza e ti tolgono tutta la tua roba e ti rimandano a casa. Qua c’è gente che dell’Italia non ha visto niente, solo questo centro, e non parla nemmeno una parola d’italiano e la rimandano al paese suo senza il telefono e senza le sue cose. Noi li chiamiamo al telefono e loro non rispondono perché il telefono è qua. Ma poi quando ci chiamano, ci dicono che li hanno riportati al paese senza niente.
Noi siamo detenuti qua, in una situazione proprio disumana: otto persone in una stanza di quattro metri per quattro. Viviamo uno attaccato al letto dell’altro. Chi si alza dopo le otto del mattino non prende la sua colazione. Chi arriva ultimo per la fila non arriva a prendere il pranzo e la cena perché noi facciamo la fila in 200 persone per prendere il nostro mangiare. Chi arriva ultimo non arriva a prendere il suo pasto.
Ti danno un buono di 3 euro e 50 al giorno per comprare sigarette, shampoo, merendine, però non bastano, è troppo poco. Anche per fare la doccia, l’acqua non c’è tutti giorni e nemmeno shampoo, asciugamano e dentifricio. La gente scappata dalla morte non ha portato lo shampoo e la roba per fare la doccia dal suo paese.
Anche le pulizie non le fanno abbastanza perché i dipendenti della Auxilium si lamentano che li pagano poco e che il loro stipendio è basso. Quelli della Auxilium ti ridono in faccia e ti accoltellano alle spalle, buttano le pietre e nascondono la mano. Li chiami e non viene nessuno, sono troppo furbi. Dei poliziotti non ne parliamo proprio, se dici “buongiorno” non ti rispondono. Quando rimandano le persone al loro paese le legano come un pacco postale, legano mani e piedi e mettono una fascia sulla bocca per non farle gridare, per non farle sentire al pilota. Ti fanno salire per ultimo così nessuno ti vede. I poliziotti sono pronti per intervenire e dare botte come in un mattatoio. I detenuti spesso si sentono male, hanno fatto il viaggio in mare, vengono dal loro paese e non sanno parlare, nessuno li capisce e la polizia li mena per farli calmare, così quelli dormono e basta. Gente venuta da un’ altra cultura, un altro mondo diverso dall’Italia. Gente che non ha parlato con nessuno e non ha visto niente dell’Italia e si sente presa in giro, incompresa.
Le persone qui vorrebbero parlare ma nessuno li capisce, non hanno lingua per parlare e nessuno li ascolta, quindi per questo si ribellano e la polizia li picchia con i manganelli, con calci, pugni e tutto.
Un altro problema: la gente è venuta dal mare, fanno viaggi della morte per arrivare qua. Quando arrivano sentono sei mesi e gridano tutta la notte, non hanno la testa normale e chiedono al medico tranquillanti perché hanno solo paura del domani, non dormono la notte e cercano un modo nelle medicine. Gli infermieri ti danno le terapie per drogati e la gente dorme tutto il giorno, hanno la faccia gonfia come drogati e la notte urlano e gridano, sono disperati. Prendono le gocce e se il giorno dopo devi partire te ne danno di più, così quando ti vengono a prendere non capisci nulla, è per evitare che ti ribelli alla deportazione.
Le nostre richieste sono: vogliamo che tutti i cittadini italiani sentano la nostra voce, che vicino a Roma ci sono 250 persone che soffrono di brutto, tutti giovani, donne e uomini, gente che è venuta qua in Italia perché sogna la libertà, la democrazia. Perché non abbiamo vissuto la democrazia, abbiamo sentito quella parola ma non l’abbiamo mai vissuta. Noi chiediamo l’aiuto della gente fuori, aiutateci e dovete capire che qua c’è gente che non ha fatto male a nessuno e che sta soffrendo. Noi soffriamo già 6 mesi, figurati 18 mesi. Se passa la legge qui c’è gente che fa la corda perchè già così, con i sei mesi, c’è gente che si è tagliata le mani, figurati con diciotto mesi, la gente si ammazza, la gente esce fuori di testa. Chiediamo che la gente là fuori, tutti, anche i partiti politici, faccia di tutto per non far passare quella legge. Chiediamo che la gente fuori, ogni giovedì mattina, vada a vedere a Fiumicino le persone portate via con la forza, che vada a fermare il massacro.
Un gruppo di detenuti del Cie di Ponte Galeria


QUI   immagini dal Cie di Bologna

QUI  documentario di Rai News sul Cie di Ponte Galeria

QUI   documentario di Rai News sul Cie di Bari (prima parte)


QUI   documentario di Rai News sul Cie di Bari (seconda parte)

Nessun commento:

Posta un commento