venerdì 20 dicembre 2013

22 dicembre 1887: nasce Srinivasda Rananujan, grande matematico autodidatta

Ramanujan morì nel 1920, Godfrey Hardy, il matematico inglese che lo "scoprì", morì nel 1947.
Per 27 anni successe quello che scrisse: “Quando sono depresso e costretto ad ascoltare gente pomposa e noiosa, mi dico: “Be’, io ho fatto una cosa che Voi non avreste mai potuto fare e cioè aver collaborato con Ramanujan pressappoco alla pari” (da qui).

per ricordare Srinivasda Rananujan in rete ci sono tante cose interessanti, ho scelte questa:

Una mattina del 28 Gennaio 1913, Godfrey Hardy, famoso professore matematico trentaseienne di Cambridge, aprendo la sua cassetta della posta, insieme alle solite numerose lettere di “studentelli” e colleghi vogliosi di comunicargli le loro presunte imprese matematiche, trovò una lettera particolare proveniente dall’India.
L’aprì e lesse la presentazione:
“Gentile Signore, mi pregio di presentarmi a Voi in qualità di contabile [...] con un salario di sole 20 sterline l’anno. Al momento ho quasi ventitré anni. Non ho ricevuto un’ istruzione universitaria [...] Dopo aver lasciato la scuola, ho utilizzato il tempo libero a mia disposizione per occuparmi di matematica [...] e i risultati che ho ottenuto sono definiti dai matematici di queste parti “sorprendenti””
Con umiltà e sfacciataggine, il giovane contabile proseguiva elencando alcuni suoi studi: “Ho trovato una funzione che rappresenta esattamente il numero di numeri primi minori di x…”
Hardy sapeva che quella era un’affermazione sbalorditiva, incuriosito, sfogliò velocemente le pagine, alla ricerca di quella dimostrazione.
L’indiano diceva di non aver ricevuto un’educazione universitaria, ma accludeva undici paginecontenenti centoventi strane formule, senza neppure una dimostrazione.
Una delle prime presentate era questa:
1 1 2 3 … … 12 + + + + + = − n
Il povero Hardy avrà pensato: “La somma di numeri interi tendente all’infinito uguale ad una frazione negativa? Ben comprendo che voi non abbiate ricevuto un’istruzione universitaria, caro signore, avranno sbarrato le porte d’ingresso al solo vedervi. Persino ad un occhio non qualificato questa formula appare ridicola.”
Accantonò inorridito la lettera senza proseguire nella lettura.
Quella sera stessa venne a fargli visita il suo amico Littlewood , altro eminente matematico con cui spesso collaborava. Davanti ad una tazza di the fumante cominciò a raccontare al suo ospite della lettera ricevuta e della presunzione ed ignoranza del giovane indiano.
Immagino il dialogo tra i due: H. – “Avrei dovuto cestinarla subito la lettera o rispondere a tono che non mi si faccia perder
tempo dietro simili idiozie“ L. – “Non hai quindi letto l’intero contenuto? Non sei arrivato all’argomento che a noi tanto
interessa, non hai verificato di che funzione trattasi seppur solo per curiosità?” H. – “Il giovine ha un modo di scriver numeri e formule che non ha senso ordinato e logico” L. – “Sarei curioso di potergli dare uno sguardo, spero tu non l’abbia bruciata”.
No! Hardy non aveva distrutto la lettera, l’aveva solo accantonata in un angolo della sua scrivania. I due cenarono e subito dopo si armarono di sana curiosità e buona volontà; ripresero insieme la lettura di quegli undici fogli.
Quei folli teoremi contenuti nella lettera cominciarono ad esercitare la loro malia e i due colleghi per mezzanotte ne erano venuti a capo. I due cominciarono a rendersi conto che quelle non erano esternazioni di uno “spostato”, ma l’opera di un genio, di un matematico privo di una preparazione formale, ma senza alcun dubbio brillante…
Hardy aveva compreso che si trovava di fronte ad un vero genio, che però, a causa della sua precaria istruzione e formazione, parlava un “linguaggio matematico” personalissimo ed a volte incomprensibile.
Necessitava, secondo lui, che fosse incanalato verso canoni matematico-espressivi consoni ed ufficiali; era chiaro che, benchè traboccasse di talento, Ramanujan aveva un disperato bisogno di essere aggiornato sullo stato attuale delle conoscenze.
Così sia Hardy che Littlewood decisero che avrebbero cercato di fare il possibile per portare Ramanujan a Cambridge. Inviarono in India E. H. Neville per convincere il Ramanujan a seguirlo in Inghilterra, ma questi, bramino praticante, era riluttante, la sua religione gli impediva di attraversare i mari. Fu un amico che si rese conto che, nonostante gli impedimenti imposti dalla sua fede, Ramanujan desiderava ardentemente di potersi confrontare direttamente con i matematici inglesi.
Escogitò così un piano: lo portò al tempio di Namagiri a cercare ispirazione divina e dopo tre notti passate a dormire sul pavimento del tempio, Ramanujan si svegliò improvvisamente e disse all’amico:
“ Ho visto in un lampo di luce splendente, Namagiri che mi ha ordinato di attraversare il mare “.
La sua Dea e musa ispiratrice lo aveva quindi messo su una nave il il 17 marzo 1914 e dopo circa un mese, Ramanujan arrivò a Cambridge, nel “tempio” della Matematica di quel periodo.
Me lo immagino come un personaggio di quei documentari storici in cui i protagonisti, emigranti in cerca di lavoro, scendono dal treno con il loro carico di valige di cartone legate a doppio spago, frastornati dal viaggio, ma soprattutto dall’assordante rumore della “civiltà”.
Confuso, emozionato ed agitato, si presenta al cospetto del grande matematico inglese.
Ebbe così inizio una delle più grandi collaborazioni della storia della Matematica.
Ramanujan iniziò ad aprire la sua mente ad Hardy ; questi intuì ben presto che il piccolo indiano non aveva nessuna idea di cosa fosse una dimostrazione, perchè aveva studiato soltanto su un manuale di formule, e i suoi risultati li otteneva in maniera quasi inconscia.
Un compagno di scuola ricorderà di averlo visto spesso alzarsi a metà della notte per scrivere le formule che aveva sognato. Lui stesso precisò che l’ispirazione onirica gli veniva dalla dea Namagiri , o che il dio Narasimha gli mostrava nel sonno dei rotoli, dei quali al risveglio
egli riusciva a trascrivere soltanto una piccola parte.
Il sodalizio tra Hardy e Ramanujuan , per quanto stimolante, risultava problematico a causa di un evidente contrasto culturale. Gli incontri e le loro discussioni matematiche, spesso si riducevano a dei monologhi in cui l’indiano sciorinava sempre nuove teorie ed idee;
fu proprio Hardy che una volta osservò:
“ Sembrava ridicolo angustiarlo domandandogli come avesse scoperto questo o quel problema noto, quando lui me ne mostrava una mezza dozzina di nuovi quasi ogni giorno “.
L’inglese scoprì che dare un’educazione matematica a Ramanujan era una vera e propria impresa di equilibrismo, temeva infatti che, se lo avesse costretto a cercare anche le dimostrazioni delle sue teorie, l’incantesimo si sarebbe potuto spezzare.
Chiese a Littlewood di provare a farlo familiarizzare con il rigore matematico occidentale,
ma anche questi ben presto si arrese:“ Come si fa ad insegnare qualcosa a qualcuno che in risposta alle domande presenta valanghe di idee originali che ti bloccano immediatamente? “. (tratto da qui, è un lavoro di un ragazzo di nome Marco Cameriero, del 2010, aveva 15 anni allora).
(tratto da qui, è un lavoro di un ragazzo di nome Marco Cameriero, del 2010, aveva 15 anni allora).

2 commenti:

  1. un tipetto da niente, no?

    “Quando sono depresso e costretto ad ascoltare gente pomposa e noiosa, mi dico: “Be’, io ho fatto una cosa che Voi non avreste mai potuto fare e cioè aver collaborato con Ramanujan pressappoco alla pari” è davvero un pensiero bellissimo

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