sabato 6 luglio 2013

Zadie Smith e Kafka

QUI l'intervento completo "Creatività e rifiuto"

Sono cresciuta nell’epoca del grunge e del rifiuto, tra le ultime propaggini di quella generazione di persone che ancora si rattristano quando vedono Iggy Pop nello spot di un’assicurazione auto o Bob Dylan che firma un contratto con Starbucks. Avevo quindici anni quando Kurt Cobain si è suicidato. Sono stata educata all’idea che esiste una tensione mortale fra la creatività e il mercato. Immagino che alla generazione dopo la mia il rifiuto di “vendersi” appaia sentimentale e impraticabile come altri cimeli degli anni Sessanta, tipo l’amore libero e la pace nel mondo. Questa generazione è cresciuta quasi completamente affrancata dal timore che la logica del mercato sia in conflitto con l’atto creativo. Ciò sarà dovuto, almeno in parte, al fatto che è cresciuta in un mondo di tecnologia digitale, dove esiste realmente una continuità fra creatività e capitale. Cos’è Apple, se non una perfetta sinergia fra “creatività” e “marchio”? Forse, più che della creatività di Kafka, dovrei parlare agli studenti di quella di Steve Jobs? Ma è proprio qui che raggiungiamo i limiti della parola “creatività”. Perché se a volte posso essere così innamorata del mio iPhone da definirlo “un’opera d’arte”, la creatività che esso racchiude è di tipo diverso da quella che ha generato Nella colonia penale, e credo che sia un po’ pericoloso confondere le due cose. Lo scopo ultimo della creatività nella tecnologia è quello di essere priva di attrito, nella forma come nella funzione. Il suo obiettivo finale non è contestare, ma facilitare. Non c’è nulla di intrinsecamente sbagliato in tutto questo: un attrezzo, se funziona bene, deve sembrarci semplicemente un’estensione di noi stessi, e deve funzionare ugualmente bene per chiunque lo utilizzi. A un attrezzo ci si abitua, fino al punto di non vederlo più (a meno che non siamo hacker o grandi esperti di tecnologia). La creatività dell’arte, per contrasto, è una cosa a cui non “ci si abitua” mai. Ogni anno leggo Nella colonia penale con i miei studenti, e ogni anno ci trovo dentro una nuova provocazione, una contestazione del mio modo di pensare e di agire, delle cose a cui dichiaro di credere. La creatività dell’arte è diversa dalla creatività degli attrezzi: ci costringe a un approccio attivo, sempre personale. La tua lettura di Kafka non sarà uguale alla mia, però entrambi useremo l’iPhone nello stesso modo. Tuttavia, è vero che nel mondo della tecnologia creativa ogni nuova iterazione di hardware o software ci colpisce – costringendoci a vedere il nostro mondo in modo diverso, un po’ come fa un’opera d’arte – e senz’altro per un giorno o due, o addirittura per un mese, potremo sentirci sconcertati davanti a qualche elemento di un nuovo design, magari rifiutandolo del tutto (come sta succedendo ora con Google Glass, che in America sta venendo preventivamente proibito e regolamentato in diversi contesti). Ma ben presto, quasi senza che ce ne accorgiamo, ci abituiamo al nuovo design, qualunque esso sia, cominciamo a non vederlo più, e non riusciamo a immaginare che prima fosse diverso.

E se la cosa più creativa da fare in questo momento fosse rifiutare? Dimostrarci scontenti di introdurre le nostre energie nel meccanismo ben oliato dell’ordine attuale? Immaginare un mondo diverso appare oggi come un dovere creativo, e dovunque si guardi sembra prendere piede un principio di rifiuto. Gli attivisti del web “Anonymous” rifiutano qualunque identità, e anche il movimento globale Occupy ha assunto la forma di un rifiuto: il rifiuto di scegliere leader e persino linee politiche. Qui in Italia, nelle recenti elezioni è apparsa qualche traccia della stessa tendenza: il rifiuto della solita politica. E si cominciano a vedere artisti che rifiutano in blocco i “fornitori di contenuti”, evitando editori, compagnie discografiche ed emittenti televisive in modi creativi e interessanti. La fine dell’ordine finanziario, o dell’ordine politico, o di una certa versione dell’industria culturale e mediatica: ci hanno sempre ammonito che il crollo di queste certezze familiari avrebbe portato all’anarchia, cioè al rifiuto di ogni cosa. Ci hanno insegnato a temerlo, ma ormai il momento è arrivato, e perché dovrebbe essere puramente nichilistico? Potrebbe essere la cosa più creativa che ci sia capitata da molto tempo a questa parte.
(Traduzione di Silvia Pareschi)

5 commenti:

  1. scrive Silvia Pareschi:
    Non sempre ho la fortuna di apprezzare in pieno quello che traduco, ma in questo caso direi che sono d'accordo al 90% (il 10% deriva dal fatto che a me dell'iPhone non importa un accidente).

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  2. a parte l'iphone apprezzo il 100%

    glielo dici a Zadie Smith che nell'ufficio di Franz Kafka c'era un'impiegato che si chiamava Bartleby (a proposito del rifiuto)?

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  3. Una perla. Magistrali le riflessioni di Zadie Smith. Grazie a Silvia Pareschi per il suo superlativo lavoro di traduzione e grazie a te per aver postato l'articolo.

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  4. diffondere le cose che meritano è cosa buona e giusta:)

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