domenica 9 giugno 2013

Nove volte sette - Isaac Asimov

Jehan Shuman era abituato a trattare con gli uomini che da molti anni dirigevano lo
sforzo bellico terrestre. Non era un militare, Shuman, ma a lui facevano capo tutti i
laboratori di ricerche incaricati di progettare i cervelli elettronici e gli automi
impiegati nel conflitto. Di conseguenza, i generali gli prestavano ascolto. E lo stavano
a sentire perfino i capi delle commissioni parlamentari.
C’erano due esemplari di entrambe queste specie nella saletta del Nuovo
Pentagono. Il generale Weider aveva il volto bruciato dagli spazi e la bocca molto
piccola, quasi sempre atteggiata in una smorfia. Il deputato Brant aveva guance tonde,
lisce, e occhi chiari. Fumava tabacco denebiano con l’indifferenza di un uomo il cui
patriottismo è notorio e che può quindi permettersi certe libertà.
Shuman, alto, elegante, e Programmatore di prima classe, li affrontò senza
esitazione.
Disse: — Signori, questo è Myron Aub.
— Sarebbe lui l’individuo dotato di speciali capacità, che avete scoperto per caso?
— disse il deputato Brant, senza scomporsi.
— Bene! — Con bonaria curiosità squadrò l’omettino calvo, con la testa a uovo.
L’ometto reagì intrecciando nervosamente le dita. Non era mai stato a contatto di
persone così importanti in vita sua. Era un Tecnico d’infimo rango, già abbastanza
avanti negli anni, che dopo aver fallito tutte le prove di selezione destinate a
individuare i cervelli umani meglio dotati, s’era ormai rassegnato da anni a un lavoro
oscuro e monotono. Ma poi il Grande Programmatore aveva scoperto il suo hobby e
l’aveva trascinato qui.
Il generale Weider disse: — Questa atmosfera di mistero mi sembra puerile.
— Un minuto di pazienza, — disse Shuman, — e vedrà che cambierà idea. Si tratta
di una cosa che non va assolutamente divulgata... Aub! — Pronunziò il nome
monosillabico come se fosse un comando militare, ma era un Primo Programmatore e
parlava a un semplice Tecnico. — Aub! Quanto fa nove volte sette?
Aub esitò un istante. I suoi occhi smorti ebbero un fioco lampo di ansietà. —
Sessantatré, — disse.
Il deputato Brant inarcò le sopracciglia. — È giusto?
— Controlli lei stesso, onorevole.
Il deputato trasse la sua calcolatrice tascabile, ne sfiorò con le dita due volte il
bordo zigrinato, guardò il quadrante e la ripose in tasca. Disse: — E sarebbe questo il
fenomeno che lei ci ha chiamati qui ad ammirare? Un illusionista?
— Molto di più, onorevole. Aub ha mandato a memoria alcune operazioni e sa
calcolare sulla carta.
— Una calcolatrice di carta? — disse il generale. Sembrava deluso.
23— No generale, — disse Shuman, paziente. — Non è una calcolatrice di carta.
Semplicemente un foglio di carta. Generale, vuol essere così gentile da proporre un
numero qualsiasi?
— Diciassette, — disse il generale.
— E lei, onorevole?
— Ventitré.
— Bene! Aub, moltiplichi questi due numeri e faccia vedere a questi signori in che
modo esegue l’operazione.
— Sissignore, — disse Aub, chinando il capo. Trasse un taccuino da una tasca della
camicia e una sottile matita da pittore dall’altra. La sua fronte era tutta aggrottata
mentre tracciava faticosamente sulla carta dei piccoli segni.
Il generale Weider lo interruppe in tono asciutto. — Mi faccia vedere.
Aub gli porse il taccuino e Weider commentò: — Be’, sembra il numero diciassette.
Il deputato Brant annuì e disse: — Proprio così, ma è chiaro che chiunque può
copiare dei numeri da una calcolatrice. Io stesso, credo, sarei capace di disegnare un
diciassette passabile, anche senza esercizio.
— Se i signori non hanno nulla in contrario, Aub potrebbe continuare, —
intervenne soavemente Shuman.
Aub continuò, la mano un po’ tremante. Infine disse a bassa voce: — La risposta è
trecentonovantuno.
Il deputato Brant consultò una seconda volta la sua calcolatrice tascabile. — Perdio,
è esatto. Come ha fatto a indovinare?
— Non ha indovinato, onorevole, — disse Shuman. — Ha calcolato il risultato.
L’ha fatto su questo foglietto di carta.
— Storie, — disse il generale con impazienza. — Una calcolatrice è una cosa e dei
segni sulla carta un’altra.
— Spieghi lei, Aub, — disse Shuman.
— Sissignore... Ecco, signori, io scrivo diciassette e subito sotto scrivo ventitré. Poi
mi dico: sette volte tre...
Il deputato lo interruppe pacatamente. — Attento, Aub, il problema è diciassette
volte ventitré.
— Sì, lo so, lo so, — si affrettò a spiegare il piccolo Tecnico, — ma io comincio col
dire sette volte tre perché è così che funziona. Ora, sette volte tre fa ventuno.
— E come lo sa lei? — chiese il deputato.
— Me lo ricordo. Dà sempre ventuno sulla calcolatrice. L’ho controllato
innumerevoli volte.
— Questo non significa che lo darà sempre, però, — disse il deputato.
— Forse no, — balbettò Aub. — Non sono un matematico. Ma vede, i miei risultati
sono sempre esatti.
— Vada avanti.
— Sette volte tre fa ventuno, e io scrivo ventuno. Poi tre per uno fa tre, così io
scrivo tre sotto il due di ventuno.
— Perché sotto il due? — chiese il deputato Brant, secco.
— Perché... — Aub lanciò un’occhiata implorante al suo superiore: — È difficile da
spiegare.
24Shuman intervenne: — Direi che per il momento convenga accettare per buono il
suo metodo e lasciare i particolari ai matematici.
Brant si arrese.
Aub proseguì: — Tre più due fa cinque, e perciò il ventuno diventa un cinquantuno.
Ora, lasciamo stare per un momento questo numero e cominciamo da capo. Si
moltiplica sette per due, che ci dà quattordici, e uno per due che ci dà due. Li
scriviamo così e la somma ci dà trentaquattro. Ora se mettiamo il trentaquattro sotto il
cinquantuno in questo modo, sommandoli otteniamo trecentonovantuno, che è il
risultato finale.
Vi fu un istante di silenzio e il generale Weider disse:
— Non ci credo. È una bellissima filastrocca e tutto questo giochetto di numeri
sommati e moltiplicati mi ha divertito molto, ma non ci credo. È troppo complicato
per non essere una ciarlatanata.
— Oh, no, signore, — disse Aub, tutto sudato. — Sembra complicato perché lei
non è abituato al meccanismo. Ma in realtà le regole sono semplicissime e funzionano
con qualsiasi numero.
— Qualsiasi numero, eh? — disse il generale. — Allora vediamo. — Trasse di tasca
la sua calcolatrice (un severo modello militare) e la toccò a caso. — Scriva sul suo
taccuino cinque sette tre e otto. Cioè cinquemilasettecentotrentotto.
— Sissignore, — disse Aub staccando un nuovo foglio di carta.
— Ora, — toccò di nuovo a caso la calcolatrice, — sette due tre e nove.
Settemiladuecentotrentanove.
— Sissignore.
— E adesso moltiplichi questi due numeri.
— Ci vorrà un po’ di tempo, — balbettò Aub.
— Non abbiamo fretta, — disse il generale.
— Cominci pure Aub, — disse Shuman, tagliente.
Aub cominciò a lavorare tutto chino. Staccò un secondo foglio di carta, poi un
terzo. Finalmente il generale trasse di tasca l’orologio e lo considerò con impazienza.
— Allora, ha finito coi suoi esercizi di magia?
— Ci sono quasi arrivato, signore... Ecco il prodotto, signore. Quarantun milioni,
cinquecentotrentasettemilatrecentottantadue. — Mostrò la cifra scarabocchiata in
fondo all’ultimo foglio.
Il generale Weider sorrise condiscendente. Premette il pulsante di moltiplicazione
sulla sua calcolatrice e attese che il ronzio dei meccanismi tacesse. Poi guardò il
quadrante della minuscola macchina e disse con voce rauca dallo stupore: — Grande
Galassia, l’ha azzeccato in pieno.
Il Presidente della Federazione Terrestre stentava ormai a mascherare, in pubblico,
la tensione che lo rodeva e, in privato già permetteva che un’ombra di malinconia
velasse i suoi lineamenti delicati, di uomo sensibilissimo. La guerra denebiana, dopo
l’entusiasmo e l’unanime slancio dei primi anni, s’era rattrappita a un gioco inane di
manovre e contromanovre. Sulla Terra lo scontento cresceva ogni giorno e cresceva
forse anche su Deneb.
25E ora il deputato Brant, capo dell’importantissima Commissione Parlamentare
sull’Organizzazione della Difesa, stava allegramente e placidamente dissipando la sua
mezz’ora di colloquio in chiacchiere inutili.
— Calcolare senza una calcolatrice, — osservò il presidente con impazienza, — è
una contraddizione in termini.
— Calcolare, — disse il deputato, — è soltanto un sistema per elaborare dei dati.
Può farlo una macchina come può farlo il cervello umano. Permetta che le dia un
esempio. — E, servendosi delle capacità da poco acquisite, prese a calcolare somme e
prodotti finché il presidente suo malgrado sentì nascere un certo interesse.
— E funziona sempre?
— Infallibilmente, signor Presidente. Non sbaglia un colpo.
— È difficile da imparare?
— Mi ci è voluta una settimana per impadronirmi perfettamente del sistema. Ma
immagino che lei...
— Effettivamente, — disse il presidente, pensoso, — è un giochetto molto
interessante. Ma a che cosa serve?
— A che cosa serve un neonato, signor Presidente? Sul momento non serve a nulla,
ma non vede che questo è il primo passo verso la liberazione dalle macchine?
Consideri, signor Presidente, — il deputato si alzò e la sua voce profonda prese
automaticamente le cadenze dei discorsi parlamentari, — che la guerra denebiana è
una guerra di calcolatrici contro calcolatrici. Le calcolatrici nemiche formano uno
scudo impenetrabile di contro-missili che fermano i nostri missili, e le nostre bloccano
i loro nello stesso modo. Ogni volta che noi perfezioniamo le nostre calcolatrici, i
Denebiani fanno lo stesso, e ormai da cinque anni si è creato un precario e inutile
equilibrio di forze. Ora noi siamo in possesso di un metodo che ci permetterà di
vincere le calcolatrici, di scavalcarle, di attraversarle. Potremo combinare la
meccanica del calcolo automatico con il pensiero umano; avremo per così dire delle
calcolatrici intelligenti; a miliardi. Non posso prevedere esattamente quali saranno le
conseguenze; ma è chiaro che questa innovazione avrà una portata incalcolabile. E se
Deneb ci arriva prima di noi, sarebbe una vera catastrofe.
Con aria preoccupata il presidente disse: — Che cosa dovrei fare secondo lei?
— Conceda il pieno appoggio del Governo a un piano segreto per lo sviluppo del
calcolo umano. Lo chiami Progetto 63, se vuole. Io rispondo della mia commissione,
ma avrò bisogno del sostegno del Governo.
—Ma fin dove può arrivare il calcolo umano?
— Non c’è limite. Secondo il Programmatore Shuman, che mi ha parlato per primo
di questa scoperta...
— Sì, ho sentito parlare di lui.
— Bene, il dottor Shuman mi dice che in teoria tutto ciò che sa fare una calcolatrice
lo può fare anche la mente umana. In sostanza la calcolatrice non fa altro che prendere
un numero finito di dati ed eseguire con essi un numero finito di operazioni. La mente
umana è perfettamente in grado di ripetere il procedimento.
Il presidente rifletté per qualche istante. Infine disse:
— Se lo dice Shuman, non ho motivo di dubitarne... Sarà verissimo. Almeno in
teoria. Ma in pratica com’è possibile sapere in che modo lavora una calcolatrice?
26Brant sorrise affabilmente. — Le dirò, signor Presidente; gli ho fatto la stessa
domanda. E sembra che un tempo le calcolatrici venissero progettate e disegnate
direttamente dagli esseri umani. Si trattava naturalmente di macchine molto
rudimentali, dato che ciò avveniva prima che si fosse affermato il principio, ben più
razionale, di affidare alle stesse calcolatrici la progettazione di calcolatrici ancor più
perfezionate.
— Sì, sì. Continui.
— Il Tecnico Aub aveva uno strano hobby: si divertiva a ricostruire queste
macchine arcaiche e così facendo ebbe modo di studiare il loro funzionamento e
scoprì che poteva imitarle. La moltiplicazione che ho eseguito poco fa è un’imitazione
del funzionamento di una calcolatrice.
— Straordinario!
Il deputato tossì leggermente. — E c’è un’altra cosa che vorrei farle presente, signor
Presidente... quanto più riusciremo a sviluppare e a estendere questo nostro progetto,
con le sue infinite applicazioni, tanto maggiore sarà la percentuale di investimenti
federali che potremo distogliere dalla produzione e dalla manutenzione delle
calcolatrici. Via via che il cervello umano si sostituisce alla macchina, una parte
crescente delle nostre energie o delle nostre risorse può essere dedicata a impieghi
pacifici e in tal modo il peso della guerra sull’uomo comune andrà decrescendo
progressivamente. Ed è inutile dire quanto un fatto simile favorisca il partito al potere.
— Ah, — disse il presidente. — Capisco ciò che lei intende. Bene, si accomodi,
onorevole, si accomodi. Ho bisogno di riflettere sulla sua proposta... Ma intanto, mi
faccia ancora vedere quel trucchetto della moltiplicazione. Vediamo se riesco a capire
come funziona.
Il Programmatore Shuman non tentò di affrettare le cose. Loesser era un
conservatore, un uomo molto legato alla tradizione e aveva per le calcolatrici la stessa
passione che aveva animato suo padre e suo nonno prima di lui. Controllava tutta la
rete di calcolatrici dell’Europa occidentale, e ottenere il suo pieno appoggio al
Progetto 63 avrebbe rappresentato un passo avanti di notevole importanza.
Ma Loesser esitava ancora. Disse: — Non vedo troppo di buon occhio quest’idea di
mettere in secondo piano le calcolatrici. La mente umana è capricciosa. Una
calcolatrice ci dà infallibilmente la stessa soluzione allo stesso problema, ogni volta.
Chi ci garantisce che la mente umana sappia fare altrettanto?
— La mente umana, Calcolatore Loesser, non fa che manipolare dei dati. E allora
non ha importanza se a eseguire l’operazione è la mente umana o la macchina. L’una e
l’altra sono semplicemente degli strumenti, dei mezzi.
— D’accordo, d’accordo. Ho studiato a fondo la sua ingegnosa dimostrazione, e mi
rendo conto che la mente è in grado di ripetere esattamente i procedimenti della
macchina. Ma mi sembra lo stesso una cosa campata in aria. Anche ammettendo la
validità della teoria, che ragioni abbiamo per credere che la teoria si possa applicare in
pratica?
— Ritengo che vi siano ragioni molto valide. Gli uomini non si sono sempre serviti
delle calcolatrici. Gli abitanti delle caverne, con le loro triremi, le loro scuri di pietra e
le loro ferrovie, non avevano calcolatrici.
— E probabilmente non calcolavano nulla.
27— Lei sa bene che non è così. Perfino la costruzione di una strada ferrata o di una
ziggurat richiedeva dei calcoli, sia pure elementari; e questi calcoli venivano
evidentemente eseguiti senza macchine.
— Lei intende dire che gli antichi calcolavano col metodo che lei mi ha dimostrato?
— Probabilmente no. È un fatto che questo metodo (a proposito, noi l’abbiamo
battezzato “grafitica”, dalla vecchia parola europea, “grafo”, cioè “scrivere”) deriva
direttamente dalle calcolatrici, e dunque non può essere anteriore. Tuttavia i
cavernicoli dovevano pur avere un loro metodo, no?
— Arti perdute! Se lei mi vuoi parlare delle arti perdute...
— No, no, io non sono un fanatico delle arti perdute, anche se non posso escludere
che ce ne siano state. Dopo tutto, l’uomo mangiava grano anche prima
dell’idroponica, e se i primitivi mangiavano grano dovevano per forza coltivarlo nel
suolo. Che altro sistema potevano avere?
— Non lo so, ma crederò nella coltura in terra quando vedrò del grano crescere
direttamente dal suolo. E crederò che si possa ottenere il fuoco strofinando due
schegge di pietra quando lo vedrò fare sotto i miei occhi.
Shuman divenne suadente. — Comunque sia, torniamo alla grafitica. Secondo me,
va considerata un aspetto del generale processo di eterealizzazione. Il trasporto
mediante veicoli più o meno ingombranti sta cedendo il posto al trasferimento diretto.
I mezzi di comunicazione tradizionali diventano sempre più maneggevoli ed efficienti.
Provi per esempio a confrontare la sua calcolatrice tascabile con gli enormi cervelli
elettronici di mille anni fa. Perché non dovremmo fare l’ultimo passo su questa via, ed
eliminare completamente le calcolatrici? Andiamo, il Progetto 63 è già in corso di
realizzazione; già si registrano notevoli progressi. Ma abbiamo bisogno del suo aiuto.
Se il patriottismo non basta a farle prendere una decisione, consideri la prodigiosa
avventura intellettuale che ci sta di fronte.
Loesser disse in tono scettico: — Che progressi? Che potete fare oltre la
moltiplicazione? Potete integrare una funzione trascendentale?
— Col tempo arriveremo anche a questo. Durante il mese scorso ho imparato a
eseguire le divisioni. Sono in grado di determinare con assoluta precisione quozienti
interi e quozienti decimali.
— Quozienti decimali? Con quanti decimali?
Il Programmatore Shuman si sforzò di dare alla sua voce un tono indifferente. —
Non ci sono limiti.
Loesser lo guardò sbalordito. — Senza calcolatrice?
— Mi ponga lei stesso un problema.
— Provi a dividere ventisette per tredici. Con sei decimali.
Cinque minuti dopo Shuman disse: — Due virgola zero sette sei nove due tre.
Loesser controllò il risultato. — Ma è straordinario. Le moltiplicazioni non mi
avevano impressionato gran che, perché insomma, comportano solo dei numeri interi,
e avevo l’impressione che potesse trattarsi di un trucco. Ma i decimali...
— E questo non è tutto. Stiamo lavorando in una direzione che fino a questo
momento è ancora segretissima e che, a rigore, non dovrei rivelare a nessuno.
Comunque... Stiamo per aprire una breccia nel fronte della radice quadrata.
— La radice quadrata?
28— La cosa comporta naturalmente alcuni passaggi difficilissimi e ancora non
disponiamo di tutti gli elementi, ma il Tecnico Aub, l’uomo che ha inventato la nuova
scienza e che è dotato di una intuizione stupefacente, in questo campo, afferma di aver
quasi risolto il problema. Ed è soltanto un Tecnico. Un uomo come lei, un matematico
espertissimo e con un’intelligenza superiore, non dovrebbe trovare alcuna difficoltà.
— Radici quadrate, — mormorò affascinato Loesser.
— Anche cubiche. Allora, possiamo considerarla dei nostri?
Loesser gli tese di scatto la mano. — D’accordo.
Il generale Weider camminava avanti e indietro a un’estremità del lungo salone,
rivolgendosi ai suoi ascoltatori con i modi di un insegnante severo che ha di fronte una
classe indisciplinata. Al generale non faceva né caldo né freddo che il suo pubblico
fosse composto dagli scienziati civili che dirigevano il Progetto 63. Egli era il
supervisore, la massima autorità, e tale si considerava in ogni attimo della sua
giornata.
Disse: — Le radici quadrate sono una bellissima cosa. Personalmente, non sono
capace ad estrarle e neppure capisco le operazioni relative, ma sono certamente una
bellissima cosa. Tuttavia, il Governo non può permettere che il Progetto si perda
appresso a quelli che alcuni di voi chiamano gli aspetti fondamentali del problema.
Sarete liberi di giocare con la grafitica e adoperarla in tutti i modi che vorrete quando
la guerra sarà finita; ma adesso abbiamo da risolvere dei problemi pratici della
massima importanza.
In un angolo il Tecnico Aub ascoltava con dolorosa attenzione. Non era più,
naturalmente, un Tecnico; lo avevano sollevato dalle sue vecchie funzioni, e destinato
al progetto, con un titolo altisonante e un lauto stipendio. Ma le differenze sociali
restavano, e gli scienziati d’alto rango non avevano mai accondisceso ad ammetterlo
nelle loro file su un piede di parità. Né, per rendere giustizia ad Aub, egli lo
desiderava. Con loro si sentiva a disagio come loro con lui.
Il generale diceva: — Il nostro obiettivo è semplice, signori; sostituire la
calcolatrice. Un’astronave che può navigare nello spazio senza avere a bordo un
cervello elettronico può essere costruita in un tempo inferiore di cinque volte, e con
una spesa inferiore di dieci volte, a una nave munita di calcolatrice. Se potessimo
eliminare le calcolatrici saremmo in condizione di costruire delle flotte cinque, dieci
volte più numerose di quelle di Deneb. E al di là di questo primo grande passo, io
intravedo qualcosa di ancor più rivoluzionario; un sogno, per ora; ma in futuro io vedo
il missile guidato dall’uomo!
Tra il pubblico si diffuse un lungo mormorio.
Il generale proseguì. — Attualmente, la nostra più grave “strozzatura” è data dal
fatto che i missili dispongono di una intelligenza limitata. La calcolatrice che li guida
non può superare certe dimensioni e un certo peso, ed è per questo che trovandosi in
una situazione imprevista, di fronte a un nuovo tipo di sbarramento anti-missili, i
nostri apparecchi dànno risultati così mediocri. Pochissimi, come sapete, raggiungono
gli obiettivi, e la guerra missilistica è ormai una continua elisione; infatti il nemico è
fortunatamente nelle stesse condizioni nostre. Mentre un missile avente a bordo uno o
29due uomini, in grado di dirigere il volo mediante la grafitica, sarebbe molto più
leggero, più mobile, più intelligente. Ci darebbe quel margine di superiorità che ci
porterà alla vittoria. Inoltre, signori, le esigenze della guerra ci obbligano a tener
presente anche un altro punto. Un uomo è uno strumento infinitamente più economico
di una calcolatrice. I missili con equipaggio umano potrebbero essere lanciati in
numero tale e in tali circostanze quali nessun generale sano di mente oserebbe mai
prendere in considerazione se avesse a sua disposizione soltanto dei missili
automatici...
Disse ancora molte altre cose, ma il Tecnico Aub aveva sentito abbastanza.
Nell’intimità della sua stanza, il Tecnico Aub passò molto tempo a correggere e
ricorreggere la lettera che intendeva lasciare. Il testo definitivo, quando lo rilesse,
suonava così:
— Quando cominciai a studiare la scienza che oggi si chiama grafitica, la
consideravo alla stregua di un passatempo privato. Non vedevo, in essa, altro che un
divertimento stimolante, un esercizio mentale.
«Quando il Progetto 63 venne istituito, io ritenevo che i miei superiori vedessero
più lontano di me; che la grafitica potesse essere messa al servizio dell’umanità,
potesse contribuire, per esempio, alla realizzazione di congegni veramente pratici per
il trasporto individuale. Ma ora capisco che sarà usata solo per spargere morte e
distruzione.
«Non posso sopravvivere alla responsabilità di aver inventato la grafitica».
Lentamente, diresse verso se stesso un depolarizzatore delle proteine e, senza
provare alcun dolore, cadde istantaneamente fulminato.
Erano tutti raccolti, sull’attenti, intorno alla tomba del piccolo Tecnico, mentre
veniva reso omaggio alla grandezza della sua scoperta.
Il Programmatore Shuman chinò solennemente il capo insieme agli altri, ma non era
commosso. Il Tecnico aveva fatto la sua parte, e ormai non c’era più bisogno di lui.
Certo, era stato lui a inventare la grafitica, ma ora che la nuova scienza aveva messo le
ali, avrebbe continuato da sola, di trionfo in trionfo, fino al giorno in cui i missili
avrebbero solcato gli spazi guidati dall’uomo. E oltre ancora.
Nove volte sette, pensò Shuman con profonda contentezza, fa sessantatré, e non ho
bisogno che me lo venga a dire una calcolatrice. La calcolatrice ce l’ho nella testa.

E questo gli dava un senso di potenza davvero esaltante.

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