venerdì 15 marzo 2013

Soldi pubblici, Siena e Sesto San Giovanni: i nodi da sciogliere - Gad Lerner


Ora il gioco si fa sporco, nel Pd, con i dossier velenosi sugli stipendi dei funzionari pagati con soldi pubblici. Quanto allo scandalo Montepaschi, non ha giovato la minaccia di sbranare chi chiedeva conto delle sue evidenti commistioni politiche. Mentre in Lombardia la mai chiarita vicenda Penati è resa ancor meno sopportabile dalle prescrizioni che hanno salvato dal processo gli uomini delle coop rosse, grazie a una legge del governo Monti votata dal Pd.
Sono i nervi scoperti di una sinistra che non ha voluto affrontare per tempo questioni fra loro diverse, ma di cruciale rilevanza. Forse Bersani sperava che la vittoria elettorale, di cui era quasi certo, consentisse di eluderle. E così, proprio ora che la stretta finale dei processi delegittima platealmente la destra ridottasi a guarnigione di un Capo imputato per reati infamanti, anche il Pd si ritrova esposto al dileggio di Grillo che insiste a chiamarlo pidimenoelle.
Proprio perché sappiamo che non c’è paragone possibile fra destra e sinistra sulla questione morale, avvertiamo i danni provocati da tale colpevole inadempienza. Le ragioni che spinsero Bersani a sottrarsi a un discorso di verità sul finanziamento pubblico dei partiti e sul rapporto tra affari e politica, oggi si ripropongono drammaticamente nel confronto con Renzi. Rendono incerto il futuro personale di molti dirigenti e dipendenti. Mettono a repentaglio la stessa sopravvivenza del Pd.
Invano le ruberie del tesoriere della Margherita, Luigi Lusi, avevano notificato l’esistenza di contabilità opache e bilanci paralleli. La decisione di ricandidare dall’alto il vecchio tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, ci ricorda come sussistano necessità di tutela patrimoniale ereditate dal passato; così come stratificazioni di personale, giornali, organismi desueti. Disfarsene, così come ben prima di Grillo avevano già chiesto tanti militanti del Pd, è operazione dolorosa. Tanto più che per tappare i buchi di bilancio del passato remoto, e per mantenere le più snelle strutture odierne, si era preferito contravvenire tacitamente alla volontà popolare espressa in un referendum. Una furbizia resa indifendibile dal voto del 24 febbraio. Mi auguro che non dobbiamo assistere a un’indecente ridda di accuse a colpi di dossier su sprechi e abusi fra dirigenti dello stesso partito, ma è chiaro che il suo apparato è destinato a un ulteriore, drastico ridimensionamento...

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