venerdì 22 marzo 2013

Maledetto Dostoevskij – Atiq Rahimi

qui Atiq Rahimi scomoda Dostoevskij, ma sembra girare un po' a vuoto.
alcune atmosfere ricordano quelle dei bar del Cairo (nei libri di Mafhouz, o Ala Al Aswani, per esempio). 
Atiq Rahimi sa scrivere, e bene, ma preferisco molto di più "Terra e cenere", non doveva dimostrare di essere bravo - franz





Rassul è deciso a vendicare l'onore della donna che ama, costretta a prostituirsi da un'anziana usuraia. 
Maledetto Dostoevskij è un romanzo sospeso tra l'allucinazione e la realtà, tra le dinamiche private di un giovane problematico e un Paese in guerra, tra Dostoevskij e Kafka. Per essere ambientato in Afghanistan Maledetto Dostoevskij è colpevolmente privo di spunti sociali: se non esplodesse una bomba qua e là e le donne non fossero coperte dal chador si potrebbe pensare di trovarsi nei bassifondi di una qualsiasi città. 
L'unica parte degna di menzione è la scena del processo a Rassul, dove un manipolo di uomini privi del benché minimo senso dei giustizia prima assolve e poi condanna Rassul.
Maledetto Dostoevskij è un romanzo ambizioso ma privo di sostanza, un esercizio di stile fine a se stesso.

…Con questo raffinatissimo romanzo Atiq Rahimi mette in scena una vicenda tutta esistenziale, nella quale il dialogo con l’Assoluto si gioca costantemente sul piano del dubbio. Rassul è vero, un personaggio a tutto tondo che tenta di trovare una strada. Dovrà poi rendersi conto, e noi con lui, che gli strumenti per interpretare la realtà e per agire su di essa sono tutti dentro la realtà stessa. Le costruzioni mentali a priori rischiano di essere inattuali, inefficaci.
Che fare, senza punto interrogativo, è ciò che ognuno di noi dice a se stesso quando, disperato, non sa che strada intraprendere. E Rahimi, come il maledetto Dostoevskij, ci racconta in questo sorprendente romanzo il discrimine tra pensiero ed azione, dubbio e risoluzione, andando ad accrescere  di un prezioso tassello il patrimonio scritto delle esperienze umane.

…Il titolo intrigante farebbe pensare ad una rivisitazione in chiave locale, ad una riscrittura, una imitazione volta a completare il modello russo; in realtà il romanzo si sviluppa su un registro sinottico, con testo a fronte, dove da un lato ci sono le vicende di Raskolnikov, dall’altro la brutta copia fornita da Rassul. Il registro è talmente ispirato dal romanzo russo da ricalcare anche i nomi: Rassul / Raskolnikov; la sorella Donia /  Dunja, con diminutivo, Dúnečka … Le differenze sono tuttavia fin dall’inizio evidenti: mentre Raskolnikov si rifugia sempre più nella sua mente per mettere a fuoco il forte dissidio fra la giustizia, la punizione e la pena, Rassul entra ed esce da fumerie e dai suoi sogni allucinogeni.
Un bel romanzo? Non credo: piuttosto un artificioso tentativo emulativo che cela, dietro il titolo, una riscrittura pigra e autocompiacente. Il risultato finale è una mediocre prova stilistica.

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