martedì 29 gennaio 2013

Jorge Carrascosa, el Lobo


Avrei bisogno di fare due chiacchiere, Lobo. Avrei molte domande da fare.
Verrei a cercarti, non rilasci dichiarazioni, non concedi interviste. Dovrebbe essere un incontro casuale, davanti a una cerveza, che ne so, o un mate, senza taccuini, né registratori. Come vecchi che possono essere amici anche se non si conoscono, per un pomeriggio soltanto, al tavolo di un bar. La politica, il calcio, la vita, l’essenza di ogni bar. Di ogni vecchio.
Sei uno dei miei eroi, Lobo. Eroe imperfetto. Non combattente. Possiedi i segreti che vado cercando, ne sono sicuro, nelle crepe dei muri o lungo il soffitto. Quel passato mi parla, mi carpisce, mi attrae, e vorrei che suonasse, scoprirlo dalla tua voce che immagino roca, impastata di fumo e silenzio.
Già, il silenzio. Come si attraversa il silenzio, Capitano? E’ un oceano, il silenzio? E quale barca è adatta?
Il frastuono che invade la cancha, il campo da gioco, il ruggito della barra brava che imperversa dalla bolgia di spalti sbrecciati, e ubriachi, può zittire all’improvviso? E per sempre?
L’Uragano può smettere di soffiare impetuoso, d’un colpo?
Ci deve essere stato un momento, forse, in cui le divise ti sono apparse uguali, quelle tronfie dei militari e le vostre, maniche corte e braghini, indistinguibili. Devi aver avuto allucinazioni, visioni d’orrore senza scampo: tu che spari di destro, da fuori area, e il portiere che muore crivellato di colpi; tu che esulti dopo un goal, e i compagni strangolati dall’abbraccio, dalla morsa, esanimi. Una croce conficcata in terra, per segnare il calcio d’angolo. E allora basta, hai scelto l’oblio.
Quanto costa l’oblio, Jorge? E’ un fumogeno, l’oblio? E’ la nebbia che avvolge il campo e impedisce di giocare, partita sospesa? Ce l’avevi una torcia, ce l’hai?
Chissà se ne hai parlato Lobo, con i tuoi compagni, e prima e dopo, e con chi. Chi lo sa se hai discusso con Alberto e Osvaldo e Mario e Leopoldo, e cosa ti hanno detto e cosa pensavano, se avevate paura, o eri solo un pazzo, uno che butta via, che tira indietro, che non ha le palle. O anche di loro eri l’eroe. Imperfetto.
Con Cesar el Flaco ne hai parlato di sicuro, per forza, lui il Tecnico tu il Capitano, per forza. E di sicuro si è trattato di poche parole, lunghe occhiate, e ha capito, certo che ha capito. Sono sicuro che ha acceso una sigaretta e te ne ha offerta un’altra, forse avete riso, e siete ancora amici.
Come si fa, Jorge, a vivere senza squadra? Restituire fascia, numero, maglia, che ce l’avevi da sempre, da prima dei ricordi, prima del tempo e del mestiere? Come si fa, dove si va, senza qualcuno a cui dare la palla, e chiedere lo scambio, lungo la fascia, e poi metterla in mezzo, e aspettare, e vedere, se il delantero svetta, e vaffanculo, e la butta dentro? Si può tirare contro il muro, soli, e aspettare che torni? Va bene lo stesso, è vita anche così? Avevi pensato il tempo, avevi visto il futuro?
Avessero perso, saresti un cavaliere senza macchia. Hanno vinto e sei solo un coglione. Eppure hai gioito per quella vittoria, sono sicuro, per quella coppa, per i tuoi compagni, e per tutti, per quel poco di felicità, dentro quel buio. Non era niente di memorabile che dovevi fare. Dovevi e basta.
Sei uno dei miei eroi, Lobo.
Mi chiedo: e dopo, quando tutto è finito? Quando quelle facce di merda sono andate via, quando il sangue, a fatica, è stato lavato? Perché Osvaldo non ti ha dedicato un poema, perché Carlos non ha fatto un film? Non è abbastanza epico il tuo rifiuto, sono preziosi solo per me i tuoi segreti? Cosa è successo, quanto durano trent’anni?
L’amore lancinante, la cui impotenza impedisce di vivere, di agire, è un mistero, un’ossessione, un gorgo dentro il quale è troppo doloroso guardare. E’ lo sguardo che ci fa di sale, e terrorizza.
Prova a perdonarci Lobo, siamo umani, fatti quasi solo di questa paura.
Sei uno dei miei eroi, Jorge Carrascosa. El Lobo.

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