giovedì 20 dicembre 2012

Stregoni all’incasso

I derivati degli enti pubblici italiani sono una bomba ad orologeria innescata in ogni angolo della penisola, pronta ad esplodere in qualsiasi momento e a far danni per almeno sei miliardi. La finanza allegra di inizio millennio non ha risparmiato nessuno. Il Tesoro, a inizio anno, ha chiuso alla chetichella con un assegno da 2,6 miliardi (più del 10% dei soldi incassati con l’Imu) uno sfortunatissimo swap sottoscritto nel 1994 con Morgan Stanley. Ma tutto lo stivale è Paese: dal Piemonte alla Puglia, da Firenze ad Orvieto da Copparo –provincia di Ferrara – a Chiaramonte Gulfi in Sicilia, decine di amministratori locali reinventatisi Warren Buffett hanno firmato tra 2000 e 2008 (fino al crac Lehman) complicatissimi derivati, convinti di risparmiare sugli interessi del debito. E i loro elettori e cittadini sono costretti oggi a pagare il pedaggio, salatissimo, della loro disinvoltura.
Quantificare i danni potenziali non è semplice. Una fotografia minimalista – ma già impietosa – la fa Banca d’Italia: a settembre 2012, 210 enti locali erano esposti con banche italiane su strumenti di finanza creativa per una cifra superiore agli 11 miliardi su cui è maturata una perdita potenziale di 6,2 miliardi. Non proprio noccioline, specie per enti già strozzati dai tagli. Il problema è che la malattia è molto più estesa. Il Tesoro, considerando anche le operazioni con istituti esteri, aveva censito a fine 2009 18 Regioni, 42 Provincie e 603 Comuni soffocate da swap e options per un valore di 35,7 miliardi. Secondo l’Anci oggi solo i Comuni con derivati sarebbero circa 800. Una “minaccia per la sicurezza nazionale” finita sotto la lente dei nostri 007 con un’informativa ad hoc redatta dall’Agenzia di informazione e sicurezza interna (Aisi) e che ci è costata secondo Eurostat tra 2007 e 2010 ben 4 miliardi di interessi in più sul nostro debito pubblico…

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