giovedì 8 novembre 2012

un campo è per sempre

…“Io mi trovavo in Egitto per turismo, ma sono di Gaza: al Cairo ho conosciuto un tale, un libico, che mi aveva invitato a seguirlo con la prospettiva di un lavoro. Scaduti i 10 giorni di permesso, non sono potuto rientrare in Egitto per poi tornare nella mia città: l’aeroporto di Gaza è chiuso per via dell’embargo di Israele e quindi non mi è restato altro da fare che adattarmi alla mia nuova patria”.
Si chiama Moussa Yusef e si racconta in modo pacato, con voce morbida, quasi incredulo per la situazione in cui si è trovato. “In Libia ho conosciuto Mayssa, mia moglie, che è medico dentista e come me palestinese. O meglio, una ‘palestinese del 48’, di Haifa, la cui famiglia cioè è dovuta emigrare in Libano per via dell’espansione di Israele sul finire degli anni Quaranta”.
Ma non è meglio tornare a Gaza, piuttosto che vivere in un campo profughi?
“Non è così semplice. Una norma proibisce agli abitanti di Gaza di contrarre matrimonio nei paesi arabi e quindi di rientrare a Gaza e comunque mia moglie non potrebbe accompagnarmi. A questo si aggiunge il fatto che Rimas, nostra figlia, è nata qui, in territorio tunisino: l’ambasciatore dell’Autorità nazionale palestinese ha prospettato come unica soluzione possibile al nostro caso lo smembramento della famiglia: io sarei potuto rientrare a Gaza, mia moglie sarebbe dovuta andare a vivere in Libano, mentre nostra figlia non avrebbe potuto lasciare la Tunisia”.
Quindi, per rimanere uniti, avete deciso di rimanere nel campo. In attesa di cosa?
“Da poco l’Unhcr (l’Agenzia delle Nazioni unite che si occupa dei rifugiati, ndr.) ci ha procurato lo status di rifugiati politici, confidiamo che presto un paese europeo ci possa ospitare”…
 

Nessun commento:

Posta un commento